Una parola per rompere gli argini.
Quando meno te lo aspetti, magari mentre stai pulendo la tua insalata pensando che la pizza sarebbe stata un'idea migliore, annusando la foglia di erba per cercare eventuali tracce di rucola, che già oggi ti tocca quella perché perché perché, e si affaccia a casaccio, non una parola mirata, ma una qualsiasi.
Devo comprare il sale.
Sale.
Ed è subito spiaggia, ma no Gino Paoli, perché i baci salati non sono solo quelli che sanno di mare e non mi piacciono più. Mi sono rimasti un po' indigesti e li ho cancellati.
Il sale smorzato dal sapore del ghiacciolo al limone, quando non bevevo tequila, quando alla fine di una giornata intera passata in spiaggia mi sentivo uscita dalla pubblicità dei gelati, la pelle ambrata e i capelli nero lucido leggermente scompigliati dalla brezza marina. Silenziosa, ad osservare il sole basso e il mare in pausa, a promettergli che l'indomani saresti tornata. Chissà quante promesse ha ascoltato il mare, chissà quante delusioni ha previsto.
Sale e zucchero sulle mani imbrattate dalle gocce di limone che scivolavano tra le dita e lungo il polso.
Sale appiccicoso.
Sale sulla pelle e tra i capelli, perché la doccia vera e propria amavo farla a casa passando il getto dell'acqua tiepida sulle gambe e controllando i progressi del rosso ambrato dell'abbronzatura, sale sulle labbra, al netto del sapore di qualsiasi bacio, mentre rosicchiavo il legnetto del ghiacciolo, mentre succhiavo le mie labbra, ignara del verbo e delle reazioni esterne.
Le parole sono così, anelli che formano lunghe catene, quando meno te lo aspetti, quando non ci pensi e magari stai consultando il frigo per decidere se far sorridere la tua insalata con qualche scaglia di parmigiano, ché i filetti di sgombro oggi sono tristi se lasciati soli con le verdure.
Succhiare.
Come dico spesso e scritto in altra sede, per me, "Non esistono parole sporche; esistono bocche infangate." Ci sono bocche che possono permettersi di dire tutto e bocche che sporcherebbero anche l'amore di tua madre.
Diciotto anni dei miei non sono come quelli di adesso, che a diciassette puoi dare praticamente lezioni di disagio.
Diciotto anni dei miei portano il peso delle imposizioni in casa, di quello che non si dice e non si fa. E di quello che non dicevi né facevi.
Diciotto anni dei miei si vestono di paroloni importanti come "sono maggiorenne e me ne vado se non mi lasci fare niente" parole che creano il silenzio nella stanza e, per un attimo, ti fanno anche pensare di aver vinto la partita, ti senti grande e importante. Invece sei solo una stronza di figlia che ha ferito una madre che aveva la responsabilità di farti anche da padre, perché sola con due figlie femmine, mentre tuo padre arrivava il venerdì sera e a lui restava la serenità apparente.
I miei diciotto anni hanno avuto il permesso di dormire fuori, ogni tanto e da qualcuno di sesso femminile con adulti responsabili di guardia. La prima volta che ho dormito fuori ne avevo diciotto da un po' di mesi e avevo raccontato una bugia. Mezza.
Mamma a malincuore aveva concesso di poter dormire dalla madre della Paola, ma sì, quella ragazza che sta con quel ragazzo da dieci anni e aspetta un bimbo. Ma sì quella signora vedova che viene spesso in radio, tranquilla, ha cinquant'anni e giocheremo a Machiavelli.
Io dalla madre della Paola, sia chiaro, ci sarei andata davvero. La Marisa era la classica signora che qualsiasi genitore non avrebbe mai voluto come amica della figlioletta. La Marisa mi aveva prestato casa per la mia prima volta.
La prima di un intoppo occasionale che se non riesci a valutare tu, una donna di cinquant'anni lo deve valutare per te. Mia madre, che ne aveva trentotto di anni, lo avrebbe fatto. Perché lei sapeva che i miei diciotto anni avevano il peso di una verginità che avevano molte ragazze, anche se mentivamo e ci raccontavamo estati degne delle più consumate delle amanti, descrivendo i fuochi di artificio e lo sguardo innamorato di un lui che ne sapeva meno di te, ma sui libri era descritto così, era l'abbraccio sicuro che solo parecchi decenni dopo un uomo sa dare, non un coetaneo dei diciotto anni dei miei.
Quella sera avevo le chiavi del mondo delle donne e continuavo a stringerla tra le dita, perché Bruno era tanto tempo che mi stuzzicava. Bruno era fidanzato, aveva la mia età, qualche mese di meno e, se c'era una cosa che sapevo fare bene, cribbio, era civettare. Consapevole dell'effetto del civettare femminile sui ragazzi.
"Non hai neanche il coraggio di…"
Mi era bastato questo per non sentire altro. Coraggio? Io che ero maggiorenne da diversi mesi e potevo fare quello che mi pareva? I termini erano fatti. Io mi sarei fermata a dormire fuori, con lui, e mi sarei occupata anche del dove e quando.
Lo so, quanto sono stata cretina? Ho detto che sapevo civettare, mica che fossi furba.
L'insalata di oggi, con le scaglie di grana non è malaccio, i ricordi viaggiano su binari paralleli alle parole e ci sono parole che vesto con naturalezza, altre che non mi piacciono. Vuoi per il suono, vuoi per l'odore o per la catena che si trascinano dietro.
Succhiare.
Con Bruno stavo facendo la cosa giusta, del resto su tutte le riviste femminili c'era scritto che la prima volta deve avvenire con qualcuno che ti fa battere il cuore e non c'è un'età giusta. Quando sarà il momento si capirà da sole e sarà bellissimo. Magico.
Seduti sui sedili posteriori di quella macchina che ci stava portando verso una puntata delle Mille e una notte, eravamo entrambi silenziosi. Io continuavo a stringere quelle due chiavi nella tasca del cappotto grigio, era novembre e faceva freddo.
Se lo fai con amore è il momento giusto.
Nello zaino avevo dovuto mettere il solito pigiama, per non destare sospetti, e dalla mia amica avevo preso in prestito un Baby-doll un po' più adatto alla situazione, "come se servisse", aveva detto Antonella ridendo, di due anni più grande di me, lei aveva già dato e mi aveva avvisata sulle cose più importanti e necessarie per la mia tranquillità.
Quasi a destinazione e la chiave conficcata nel palmo della mano, io che pensavo a tutto tranne al fatto che lui fosse fidanzato e non fosse stato neanche in grado di organizzare la serata perfetta, come invece avevo fatto io, con la complicità della signora Marisa che, che Dio l'abbia in gloria, ci aveva lasciato un letto fresco di bucato e l'abat-jour a luce soffusa. Un bigliettino sul tavolo con scritto di aprire il frigo e servirsi di tutto quello che trovavamo, anche l'indomani mattina, a colazione.
Era stata molto carina. Avventata, con la figlia di un'altra, ma carina.
Con l'amore non puoi fare la cosa sbagliata, il momento è quello giusto.
La mia prima e unica volta con Bruno è stata un disastro. Sarebbero molte le cose da dire, eppure, riesco solo a ricordare il verbo succhiare, e non per i motivi più ovvi.
Io non volevo dire di non averlo mai fatto. Mia sorella, anche lei più grande di me di quasi quattro anni e quasi mamma, mi aveva scongiurata di dirglielo, così, quella notte avevo preso il coraggio a schiaffoni e confessai la mia totale inesperienza. Non sapevo cosa aspettarmi, se rabbia, felicità o indifferenza. Vinse la tre.
I miei diciotto anni, dal punto di vista ormonale, sono come tutti i diciotto anni dei decenni a venire e che verranno. Un ragazzino che si trova sul letto con una coetanea in baby-doll che confessa di non essere poi la mangiauomini che aveva lasciato credere fosse, è già tanto che non te lo strappi a morsi quel baby-doll. Scatta il primo bacio tra noi e, se c'era una cosa che sapevo fare bene, già a diciotto anni, oltre a civettare intendo, era baciare. Con quasi quattro anni di pratica alle spalle, lo stendo, pensavo. Anche Antonella mi aveva detto di stenderlo con i baci, così sarebbe stato distratto dal resto, come se fosse stata un'onta non aver mai fatto sesso, come se fosse stata colpa mia se il ragazzo giusto fosse arrivato in ritardo e con una fidanzata alle costole, e noi ci stavamo baciando, finalmente, mi rendevo conto di molte cose, capivo che stavo facendo un buon lavoro, cavolo, a diciotto anni vuoi che non sappia eccitare un ragazzo con un bacio? Era tutto magico e tra le mani non avevo più la chiave di casa, avevo la sua pelle, sentivo il suo profumo fresco, ricordo di aver pensato a The Joker della Steve Miller Band, e solo questo sarebbe bastato per farmi alzare e andare a casa, forse mancava la musica o forse era musica quel bacio, quello che stavamo per fare. Forse, la sua voce, forse, mi sta parlando.
"Puoi sussarmi un po'?"
Dialetto legato a un verbo non così signorile, e le mie mille e una notte trasformate in una rovinosa caduta nel fango di fronte all'ingresso di un locale alla moda superaffollato. Sapevo che si arrivava al rapporto completo a step intermedi, ma non ero pronta a una formale richiesta, Ricordo che avevo anche risposto, ricordo che avevo declinato cortesemente l'invito, non ero scandalizzata, ero incazzata perché me lo aveva chiesto. Un totale disastro.
Con l'amore non si sbaglia, con l'amore è magico.
I miei diciotto anni mi hanno insegnato che la passione ha la sua dignità e che, se la trascuri, è un casino. A diciotto anni ho imparato che, per fare sesso, serve la passione.
Quel verbo mi richiama sempre questa parentesi e le risate con mia sorella e la mia amica, anni dopo, perché quella sera nessuno aveva osato ridere della mia disperazione. Mi avevano preparato a tutto, al dolore, a come sentirne di meno, ma nessuno mi aveva detto che si sarebbe informato sulla possibilità eventuale di essere succhiato.
Oggi rido, penso al fatto che un "Per favore" avrebbe completato il cerchio, rido pensando che non sono più arrabbiata con Bruno, anche se siamo stati due disastri a letto insieme, anche se lui un po' di più, anche se i nostri diciotto anni erano forse fatti più per civettare vestiti e in un luogo pubblico.
E passo al caffè, lo bevo sul balcone, mentre il treno corre e il paesaggio cambia, mentre l'aria di Aprile inizia a portare pollini e profumi di Primavera.
Bevo il primo sorso, mentre l'esperienza insegna e la giovane età apprende, mentre ricordo ancora, ma per oggi basta.
Oggi alzo il tappeto e spazzo il tutto sotto il tessuto pesante di un vissuto fatto di risate, incomprensioni, qualche brutta figura e un pizzico di acerba civetteria, che non guastava mai.
Ieri, come oggi.