domenica 23 marzo 2014
La voce della pioggia
È la notte perfetta per non so cosa, ma la percepisco così. Arrabbiata, ferma e decisa.
Piove controvento, un rincorrersi di acqua e aria fermati dalla finestra illuminata dal bagliore di questa ira.
È una notte che alza la voce e conto quanto tempo passa tra il flash e il ricordo: "uno, du…" troppo vicino, le mani sulle orecchie e gli occhi chiusi, ma sento e vedo, allora coloro di blu, quello è sempre a portata di mano perché non si sa mai.
È una notte da testa sotto il cuscino, soffoco, allora meglio sotto il piumone, perché a me il temporale non piace viverlo così.
La pioggia è diversa, ma la pioggia arrabbiata non ragiona ed è capace di tutto. Io lo so e non ci penso, mentre controllo l'ora ed è tardi quanto basta per andare a dormire, riguardo la sveglia ed è troppo presto per l'alba. Bagliore, tuono, accarezzo il mio Blu e mi tranquillizzo, forse ora smette, forse non c'è più, forse "uno, due, tre, qu…" si allontana, e tiro fuori la testa, abbraccio il cuscino con la mano colorata e lo sguardo altrove.
E se la stringi sarà come dormire sotto lo stesso cielo, o nuotare nello stesso mare.
È solo la notte, è Blu.
mercoledì 12 marzo 2014
L'illusione di una clessidra
Mi affascina da sempre l'aspetto del tempo in tutte le sue forme. Il suo scorrere inesorabile restando intatto. Il passaggio silenzioso, a tratti sfacciato, la sua bellezza che coglie i dettagli di stagioni diverse e li ferma quel tanto che basti per capovolgerlo.
Ho due immagini, su tutte, per identificare l'amico nemico di sempre, una è quella che spesso viene attribuita all'anno vecchio che lascia spazio al piccolo nella culla, l'infante che strilla svegliato dai botti e festeggiamenti, mentre un curvo signore con la barba lunga e il bastone si allontana, ecco, quello è Padre Tempo che passa, che va, che non torna, che è arrivato in fondo. Da piccola pensavo fosse come un nonno, lo vedevo ritratto in vignette più o meno tutte simili, mi angosciava un po', era come se l'inesperienza prendesse il posto della saggezza, sì, come quando le mie amiche preparavano qualcosa per me e quei pasticci non erano buoni come la merenda che preparava la nonna, perché la nonna, con il tempo, aveva imparato a fare la torta paradiso più buona del mondo e quando rientravo da scuola si sentiva il profumo dal primo scalino, allora affrontavo quella lunga rampa senza sentire il peso della cartella sulle spalle, la mollavo nell'ingresso, mi spogliavo dell'odore di cancelleria della grigia aula scolastica, lavavo le mani e mi aspettava una tazza di latte fumante con una fetta di questa torta alta, soffice e tiepida. Il tempo aveva insegnato molte cose alla nonna, e lo guardavo nelle immagini, vecchio, con la barba e i capelli bianchi, curvo, ma la nonna era più giovane e non aveva barba e bastone, quando è stata toccata dal tempo non era neanche curva e zoppicante, ma il tempo non si traduce solo in età, il tempo passa e ti accarezza, ti schiaffeggia, si ferma a insegnarti qualcosa o ti ferma con quello che gli gira per le mani.
Tempo tiranno, tempo al tempo che cancella o porta via sogni, risate, dolori e persone. Breve, lungo, interminabile mai, il tempo finisce e, passando da qualche parte lascerà il profumo della torta paradiso a qualcuno, mentre tu la evochi nella mente e l'assapori nel cuore.
La seconda cosa che mi fa pensare al tempo è un oggetto che amo e mi affascina da sempre: la Clessidra.
Amo l'idea delle ore intrappolate in ampolle sottili, così fragili da esplodere in schegge di ricordi. Una clessidra, le curve morbide e lisce del corpo di una donna che racchiude la ruvidità dei pensieri mai scritti.
Dita come clessidre, mani tuffate in un sacchetto di riso o di legumi secchi, come Amelie, e fai scorrere il tuo tempo così, in riva al mare, dove la sabbia non viene abbracciata dall'acqua ma posseduta dal sole, sprofondi piedi e mani e lasci che scorra, che passi e scaldi. Niente barba o bastone, resti lì e pensi che vorresti una clessidra, per intrappolare il profumo della torta paradiso, il sapore del primo bacio, la ruvidità di quella barba o due odori mescolati.
Una clessidra, tempo che si fa piramide ai piedi dell'infanzia, attimi che piovono dal cielo, trascorsi che riempiono il suolo e, volendo, minuti che si ripetono dando scacco matto al tempo, fermandolo e invertendo la sua marcia. E ti ritrovi a testa in giù, con tanto da rifare, e prima dello scadere dell'ultimo granellino, ricominci ancora.
Una clessidra, illusione di non passare mai, elegante e sinuosa.
Mi piacciono le clessidre, una cosa di me che è sempre saltata fuori, presto o tardi. Mai qualcuno che lo abbia ricordato, infatti non ne ho una e probabilmente me la comprerò per guardare la notte passare quando non dormo, la capovolgerò per farla ricominciare, perché non ero ancora pronta per dormire; oppure fermerò il tempo di un abbraccio, di un ti voglio bene o sulla risata di un bambino al parco giochi.
Una clessidra, per accarezzare il tempo distraendosi dai segni che affiorano sulla pelle, per sorridere senza paura, quando sei a metà strada o quando hai il bastone e senti l'infante urlare perché venuto al mondo.
Una clessidra accanto agli impersonali orologi, anacronistica e così appropriata, chiusa in una teca. Sfacciata, senza pile e senza carica, solo le tue mani che decidono quando è ora di darsi tempo; una sfida che conduci tu, almeno, finché il gioco resta chiuso in un'ampolla così sottile, mentre i tuoi fianchi vengono stretti e accarezzati da mani senza tempo, durante lo scorrere della vita. Stringi forte e ricominci, perché la sabbia è sangue.
Ho due immagini, su tutte, per identificare l'amico nemico di sempre, una è quella che spesso viene attribuita all'anno vecchio che lascia spazio al piccolo nella culla, l'infante che strilla svegliato dai botti e festeggiamenti, mentre un curvo signore con la barba lunga e il bastone si allontana, ecco, quello è Padre Tempo che passa, che va, che non torna, che è arrivato in fondo. Da piccola pensavo fosse come un nonno, lo vedevo ritratto in vignette più o meno tutte simili, mi angosciava un po', era come se l'inesperienza prendesse il posto della saggezza, sì, come quando le mie amiche preparavano qualcosa per me e quei pasticci non erano buoni come la merenda che preparava la nonna, perché la nonna, con il tempo, aveva imparato a fare la torta paradiso più buona del mondo e quando rientravo da scuola si sentiva il profumo dal primo scalino, allora affrontavo quella lunga rampa senza sentire il peso della cartella sulle spalle, la mollavo nell'ingresso, mi spogliavo dell'odore di cancelleria della grigia aula scolastica, lavavo le mani e mi aspettava una tazza di latte fumante con una fetta di questa torta alta, soffice e tiepida. Il tempo aveva insegnato molte cose alla nonna, e lo guardavo nelle immagini, vecchio, con la barba e i capelli bianchi, curvo, ma la nonna era più giovane e non aveva barba e bastone, quando è stata toccata dal tempo non era neanche curva e zoppicante, ma il tempo non si traduce solo in età, il tempo passa e ti accarezza, ti schiaffeggia, si ferma a insegnarti qualcosa o ti ferma con quello che gli gira per le mani.
Tempo tiranno, tempo al tempo che cancella o porta via sogni, risate, dolori e persone. Breve, lungo, interminabile mai, il tempo finisce e, passando da qualche parte lascerà il profumo della torta paradiso a qualcuno, mentre tu la evochi nella mente e l'assapori nel cuore.
La seconda cosa che mi fa pensare al tempo è un oggetto che amo e mi affascina da sempre: la Clessidra.
Amo l'idea delle ore intrappolate in ampolle sottili, così fragili da esplodere in schegge di ricordi. Una clessidra, le curve morbide e lisce del corpo di una donna che racchiude la ruvidità dei pensieri mai scritti.
Dita come clessidre, mani tuffate in un sacchetto di riso o di legumi secchi, come Amelie, e fai scorrere il tuo tempo così, in riva al mare, dove la sabbia non viene abbracciata dall'acqua ma posseduta dal sole, sprofondi piedi e mani e lasci che scorra, che passi e scaldi. Niente barba o bastone, resti lì e pensi che vorresti una clessidra, per intrappolare il profumo della torta paradiso, il sapore del primo bacio, la ruvidità di quella barba o due odori mescolati.
Una clessidra, tempo che si fa piramide ai piedi dell'infanzia, attimi che piovono dal cielo, trascorsi che riempiono il suolo e, volendo, minuti che si ripetono dando scacco matto al tempo, fermandolo e invertendo la sua marcia. E ti ritrovi a testa in giù, con tanto da rifare, e prima dello scadere dell'ultimo granellino, ricominci ancora.
Una clessidra, illusione di non passare mai, elegante e sinuosa.
Mi piacciono le clessidre, una cosa di me che è sempre saltata fuori, presto o tardi. Mai qualcuno che lo abbia ricordato, infatti non ne ho una e probabilmente me la comprerò per guardare la notte passare quando non dormo, la capovolgerò per farla ricominciare, perché non ero ancora pronta per dormire; oppure fermerò il tempo di un abbraccio, di un ti voglio bene o sulla risata di un bambino al parco giochi.
Una clessidra, per accarezzare il tempo distraendosi dai segni che affiorano sulla pelle, per sorridere senza paura, quando sei a metà strada o quando hai il bastone e senti l'infante urlare perché venuto al mondo.
Una clessidra accanto agli impersonali orologi, anacronistica e così appropriata, chiusa in una teca. Sfacciata, senza pile e senza carica, solo le tue mani che decidono quando è ora di darsi tempo; una sfida che conduci tu, almeno, finché il gioco resta chiuso in un'ampolla così sottile, mentre i tuoi fianchi vengono stretti e accarezzati da mani senza tempo, durante lo scorrere della vita. Stringi forte e ricominci, perché la sabbia è sangue.
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