La piazza è affollata. Ognuno parla per sé pensando agli altri.
C'è di tutto, nella piazza, dal saltimbanco al mangiafuoco, dall'uomo a tre teste a quello a cinque personalità, e poi ci sono gli ombrelli.
Ombrelli colorati e volti coperti, ombrelli come se piovessero colpi di tutti i tipi; bassi e da tutti i lati, mentre passo tra la gente, mentre guardo le persone e mi riparo come posso, guardando in alto verso un cielo che non ha stagione, guardando la folla senza riuscire a muovere passi decisi. Allora mi siedo lasciando il mio ombrello capovolto, qualcuno mi schiaccia una mano e io chiedo scusa mentre la massaggio, ascolto un coro di voci che ripete la solita nenia e conosco l'aria ma non ricordo le parole, forse non le ho mai ascoltate sul serio, mi volto e tappo le orecchie, mentre la musica si fa strada dentro, mentre gli ombrelli coprono la luce e fanno scendere la sera, eppure è presto, ma la piazza ha deciso che alle 15.51 deve arrivare la sera. La piazza è triste e loro hanno le stesse espressioni tirate dei gironi infernali. La gente soffre, anche se non lo ammette; la gente è insicura, anche se si professa migliore di te. Siamo in pochi seduti per terra con gli ombrelli rovesciati sul suolo a pensare alla luce del giorno, a vederla, come se non fosse così buio, come se la sera fosse una nuvola passeggera creata dalla mente dei circensi.
Un tempo conoscevo alcuni nomi, poi ho dimenticato anche i volti, perché della gente non amo le acrobazie, ma apprezzo i gesti delle persone.
Qualcuno passando lascia una stella nei nostri ombrelli rovesciati, esprimi un desiderio, in realtà ne hanno lasciate una manciata, era qualcuno che ho giù visto passare altre volte, magari vestito diversamente, magari in un'altra identità, forse in un'altra vita. Vorrà qualcosa, ma non mi piacciono gli estranei, ancora meno gli estranei che indossano due, tre, quattro, cinque strati di maschere, senza dirti nulla, lasciando solo stelle nel tuo ombrello rovesciato e tu li riconosci, tanto che non sai se alla fine ci sia ancora qualcosa da strappare, tanto che gli porteresti via anche la pelle del viso, se solo t'importasse davvero qualcosa, allora non guardo dentro il mio ombrello, non guardo le mani di chi non ha il coraggio di indossare sempre la solita maschera, non dico faccia, incrocio le gambe e continuo a parlare da sola, qualcuno mi schiaccia una caviglia e non muovo un muscolo, resto in silenzio, facendo finta di ascoltare, facendo finta che sia interessante la sera anticipata, fingendo senza maschera, ed è stata la cosa più difficile da imparare questa.
Nella piazza può accadere di tutto, così dicono, ma a me non importa.
Nella piazza puoi perdere la strada e trovare un sentiero.
Nella piazza l'età si ferma e poi ti trovi davanti a uno specchio con una ruga in più ed esperienza in meno.
Nella piazza la vita si ferma, anche la mia.
Nella piazza molti guardano l'aria che tira, io la sento e mi sposto.
Nella piazza chi resta saldo al proprio ombrello si solleva da terra, lasciando trapelare una sfera di sole a chi resta seduto.
Nella piazza è tornato il pomeriggio, mi alzo e lascio l'ombrello rovesciato al suolo, osservo l'aria che ci gioca, fino a sollevarlo. Pulisco le mani sui jeans e m'incammino; alle spalle una scia di stelle appena fabbricate. Ma non brillano come altre; né come prima.
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