Manca meno di un mese alle ferie e io non so ancora dove andare né se ci voglio andare lì.
E se poi incontrassi la gente che non mi piace? Probabilmente la cosa sarebbe reciproca, ma io non sgomito per piacere a tutti i costi a qualcuno, m'interessa piacere a chi piace a me e non è detto che questo avvenga sempre.
Meno di un mese e ho ancora così tante cose da sistemare; meno di un mese per creare la mia corazza e vaccinarmi contro il male del presente: dover apprezzare tutto ciò che piace agli altri.
Lo devo a me stessa, la prevenzione è importante.
Non scrivo più molto, non come prima, le cose da buttare sono sempre tante e, generalmente, le scrivevo prima di procedere alla rottamazione della mia anima.
Un po' come una maglietta lisa e, visto che ormai l'hai lavata e hai consumato detersivo, acqua e corrente, la metti una volta e poi la butti. Ecco, così: visto che ci ho pensato lo scrivo, poi non ci torno più sopra. Ci provo, se non fosse per chi fruga nella tua spazzatura, analizzando i tuoi avanzi e ogni tuo rifiuto.
Meno di un mese. Fuori da partenze e arrivi intelligenti, con l'incognita del sole e il bisogno di chiudersi in casa a dormire notte e giorno mangiando tutta la carne che vuoi, senza posate, perché da piccola mia mamma mi sminuzzava la carne con le mani, per sentire bene che non ci fosse un nervetto o un ossicino e affinché mi abituassi a masticare, un minimo. Inzuppava il pane nel sughetto e preparava un boccone così buono che, se lo avessi mangiato dalla forchetta non avrebbe avuto lo stesso sapore.
Meno di un mese per tornare a essere io.
Essere quella che piace a se stessa, anche a discapito degli altri, perché se pensi una cosa e fai l'errore di dirla, gli altri diventano premurosi e ti fanno il lavaggio del cervello, ti strofinano la bocca con il sapone e poi ti piazzano la divisa del resto del mondo.
Meno di un mese per spogliarmi degli abiti stretti di gente che non conosco, per uscire incolume da questa epidemia di narcisismo, ho un vaccino infallibile che si chiama silenzio. Ah, già, il silenzio è roba da poeti, eppure, è l'unico modo che so per ascoltare, perché se parlo troppo poi sento solo me, e io, un po' mi conosco, sono gli altri a non sapere un cazzo di me e parlano, si prendono il disturbo di farmi sapere il loro disappunto, come se non lo sapessi, come se a me importasse qualcosa di avere le dita unte di carne, come se non avessi posate in casa. Come se.
Non sono loro, sono io che non mi piaccio quando piaccio a loro, che mangio la tagliata senza rucola anche se la rucola è la morte sua, ma anche la mia.
Meno di un mese per decidere se dentro o fuori, se mare o montagna e fanculo il sole, tanto sono quella che riesce a spegnere la luce sul sipario ancora aperto, con una fionda dietro la schiena, nel caso in cui puntassero quel faro fastidioso che ti mostra così uguale a chi non ti piaceva e non avresti voluto essere.
Meno di un mese per trovare un posto fuori da ogni obiettivo, perché a me i selfie non danno fastidio, però mi hanno sempre fatto un po' ridere i miei, quelli degli altri non m'interessano, non come valutazione della persona, almeno.
Se mai esistesse un posto così ci prenderei la residenza, e non si tratta di essere asociali o meno, si tratta di ritrovare la serenità con sé stessi. Ok, anche un po' di silenzio. Non quello che parla, il silenzio che ascolta e non ha voglia di farti cambiare idea né di consigliarti mete all'insegna della bella gente.
Ho smesso molte persone, proprio come si fa con le magliette lise, suona brutto, lo so, ma non potevo farne a meno, l'alternativa sarebbe stata andare in giro con abiti logori o scoloriti.
Alcune le ho riposte in fondo al cassetto, altre invece le ho buttate via, come il tempo o come posate di plastica che non mi davano il sapore buono della carne mangiata con le mani, perché mi obbligavano a usare forchetta e coltello e, mentre mangiavo, pensavo e non parlavo più, non potevo buttare via il cibo scadente né quello scaduto. Ingozzata di blablabla, con una crosta del loro sorriso riprodotta sulla cornice del mio viso, aspettando uno sguardo attento che scoprisse e mettesse fine a tutto questo.
Meno di un mese. È quanto manca alle mie vacanze.
Un posto in cui poter andare in giro con una molletta per il bucato tra i capelli e nessuno che te lo faccia notare, dove nessuno si domanda se preghi e per chi. E, già che ci siamo, neanche chi. Mare, monti, sole e pioggia. Un ombrello ripara da tutto. Mai senza.
Intanto mi vaccino contro il virus che mi sta soffocando e mi sorride, tentando di aiutarmi. Dicendo di conoscermi.
Sperando di riuscire a perdonarmi per tutti quei "fanculo cretino/a" omessi per pigrizia, ma pensati fortemente.
sabato 23 agosto 2014
giovedì 14 agosto 2014
Estate, ora passa.
Estate.
Di mare, di boschi e scampagnate.
Estate di salsedine e resina, di erba e sapore di carne bruciacchiata, di frutta fresca e torte salate. Di creme e lozioni, di risate e pelle calda.
Estate di sabbia nei capelli e tra le dita, di musica e tormentoni.
Estate.
Di ricordi e di presente.
Estate di lavoro e di stanchezza, di voglia di riposare, perché la scuola è finita da un pezzo, adesso tocca a me e le ferie sono lontane.
Estate di lucciole spiaccicate sul pavimento e di scie luminose che neanche sulla pista di atterraggio all'aeroporto.
Estate di bronci e noia, perché avresti preferito andare in spiaggia, invece ti sei trovata a guardare dall'alto in basso l'amico coetaneo, figlio degli amici dei tuoi genitori, gli stessi che ammiccavano e si davano le gomitate mentre scambiavi quattro chiacchiere di cortesia, quelli che ci chiamavano fidanzatini, mentre la vergogna prendeva fuoco sul viso e la rabbia prudeva nei pugni chiusi.
Estate.
Di ferragosto in mezzo agli adulti che pensavano a grigliare, preparare e ridere di cose stupide, e meno male che l'adolescente ero io. Estate.
Di silenzi e pensieri da galera. Estate di "ma cosa vuole questo da me?" e "speriamo che gli scoppi un testicolo e si torni a casa."
Estate da "cosa non darei per sdraiarmi sotto quel pino con un libro in mano"mentre gli adulti pensavano a tutto. Oggi, mai come allora.
Estate.
Di storie vissute a metà, di promesse e partenze.
Di volti abbronzati, di scogli rifugio e labbra dolenti.
Estati di "C'è mio padre, restiamo qui. Baciami ancora."
Mentre pensavi che fosse l'amore della tua vita; quando ancora, se andava bene, durava una stagione la vita. E l'amore con essa.
Estate.
Di lunghe passeggiate nel bosco e di rami così alti che pensavi fossero tetti.
Di odore di foglie e terra, di voglia di solitudine e di ascolto, perché al mare raccontavo, nel bosco ascoltavo, mentre decine di occhi mi spiavano. La natura sa osservare.
Estate di pensieri frivoli e problemi che duravano il tempo di una granita al sole.
Mentre il mare mi ascoltava e si arrendeva alla carezza tiepida di un tramonto stanco.
Estate di asfalto bollente e città deserta. Di caldo e noia. Estate di "Oddio non ho ancora toccato matematica", ma lo sapevo solo io.
Estate. Oggi.
Estate di.
Alla vigilia della festa, in silenzio. Con la musica che mi accarezza la pelle, troppo chiara per il periodo, con i pensieri seri e la ruga in mezzo alla fronte. E la granita non si scioglie.
La vigilia della festa dell'estate e "Oddio non ho toccato il ferro da stiro", sorrido e penso che domani dormirò finché ne avrò voglia, farò finta di dimenticare il Ferragosto e preparerò la palma a chi, puntualmente, me lo ricorderà. Sarei andata al mare, ma troppa gente per raccontare. Nel bosco beh, non si scherza con il bosco, e qui non ci ha presentati nessuno. La mia città è lontana e io non ho più visto quegli occhi che mi spiavano, né ascoltato le sue lezioni di vita.
Estate.
Oggi.
Di "non vedo l'ora che sia inverno per poter ricordare questa estate e tenerla dietro le spalle", mentre l'agrifoglio colora le sue bacche di rosso.
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