Umido e ventoso.
E io che non respiravo, per non farlo volare via.
Adagiato sul calendario, ancora prima del caffè.
Adagiato sul calendario, ancora prima del caffè.
Raccoglitore di ogni parola risparmiata alla mia voce, pigra.
Penso e scrivo, scrivo e penso, non necessariamente entrambe le cose nello stesso momento.
Penso e scrivo, scrivo e penso, non necessariamente entrambe le cose nello stesso momento.
E copre i rami spogliati, tira la giacca del gatto randagio.
Pesce, in una rete fitta di pensieri e identikit rosicchiati dal livore.
Ombra nel bosco dei ricordi pennellati di marrone, terra bruciata e oro.
Di nonsense e di camicie di forza, di sorrisi celati e di chissenefrega, quando tu, il senso, lo conosci.
Di mani piene e tasche vuote, di gentilezza e di voglia di urlare a squarciagola, o di scrivere maiuscolo. Giovane.
Così acerbo e con tante premesse, che se sbaglio la vocale son guai.
Così acerbo e con tante premesse, che se sbaglio la vocale son guai.
Sbadiglio appena accennato, vagito di pioggia e di piedi freddi, di caffè e di silenzio così carico da aver paura di sparare, maledette vocali.
Colore infastidito da raggi che calcolano e non illuminano.
Silenzioso, come la stanza nella penombra, ma guardo fuori ed è lì.
Non più sul calendario.
È giorno, nuovo.
Silenzioso, come la stanza nella penombra, ma guardo fuori ed è lì.
Non più sul calendario.
È giorno, nuovo.
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