mercoledì 9 dicembre 2015

Ti ricordi

Il tempo di riordinare le idee per partire da qualche parte, ma le mie idee sono come quei capelli ribelli, quelli che più li pettini più si scompigliano, ingovernabili. Allora chiudo gli occhi e penso se prima l'aria e il suo odore, il colore del cielo o la stradina, oggi asfaltata, che conduce al cancello. Se dal comignolo fumante, dalla pianta dei cachi, spoglia e arancione. se dalla luce accesa nella cantinetta, dalla faccia assonnata e rugosa di mio padre che abbozza un sorriso, dal profumo di lana vecchia e di pelle pulita di mamma, di cibo e di detersivi.
Da dove.
Da che parte partire, bella domanda, dalla mia camera oggi totalmente modernizzata, quella che aveva due lettini con un comodino centrale e le due abat-jour: Cappuccetto rosso con, al posto della fragola, una lampadina rossa nel cestino che portava dalla nonna, quella di mia sorella un Moschettiere con il naso da clown che si illuminava. Quanto mi piacevano, quanto era bello osservare la luce colorata. pensieri al presente e al divano-letto, sotto l'armadio a ponte, mamma è sempre stata una donna molto attenta a sfruttare gli spazi al meglio, l'unica cosa rimasta uguale sono i tendoni e il lampadario, il resto è solo qui, nella mia mente, ingovernabile come i pensieri, i capelli e i ricordi. Ingovernabile che non sa da dove farti partire, allora scrivi, parli e pensi senza capo né coda. E senti freddo, lontana da quella stufa a legna e da tutto quel buono che non hai mai dimenticato; e ti fermi un po' di più, ché di andare via non se ne parla, quando sei a casa.
Tiro su i capelli e ci pianto un mollettone, ascolto il crepitio del ciocco di legno e penso a Pinocchio, mi scappa un sorriso e mamma mi chiede se sto sognando, sorrido di più e vorrei prenderla in braccio o farla ballare, papà dal divano sorride con gli occhi chiusi e penso che stia sognando una bambina con le trecce che scappa via inseguita da un ramarro.
Ingovernabile, come la nostalgia e i "ti ricordi Silvy…" che hanno la voce lontana lontana e colori sbiaditi delle cose passate.
Oggi sono romantica e parlo d'Amore. Di quello che tocchi, che ti ha nutrito e cresciuto. Oggi la poesia è nella faccia rugosa di mio padre che si addormenta appena si siede, nei capelli bianchi di mia madre che mi ricorda sempre di più mia nonna, la mia amata nonna che sorrideva silenziosa, anche lei, forse, con i colori sbiaditi della nostalgia, ma non mi diceva "Ti ricordi, Silvy", io l'abbracciavo e ricordavo ogni bacio e ogni mestolata presa, e restavamo così, in silenzio.
La mia nonna-mamma e io.
sono tornata a casa, da settimane, stamani ho chiesto a mamma se ha fatto l'albero di Natale e mi ha risposto che non sa dove metterlo perché ha dovuto tirare dentro le piante esterne, le ho suggerito di fare quello piccolo piccolo e ha detto che lo farà, anche se fuori ha addobbato per bene il gazebo "Così non brontoli" e il sorriso nella voce tradisce quel salto nel passato che al telefono non si vede, ma si sente. E mi sento lì, seduta sul pavimento, nella penombra del salotto ad ascoltare l'albero e le sue luci mal funzionanti. E mi sento piccola e protetta, felice e amata. E amo.
Oggi parlo d'amore perché l'odio solca le rughe peggio del tempo.
Oggi sono romantica perché qualcuno dovrebbe pur dirlo che c'è bisogno di quel romanticismo che avevamo da piccoli, quello che da seduti ci faceva vedere le cose da un'altra prospettiva, ma non lo dicevamo, perché eravamo impegnati a costruirci un futuro a prova di adulto, protetti dalle lucine mal funzionanti di un albero di Natale che sapeva di resina e perdeva più aghi di un sarto distratto.
Sono romantica, oggi, anche se c'è il sole, ma aspetto il finale a sorpresa, come in quei film Natalizi in cui le temperature sono da record ma poi alla fine nevica quando le cose si sono appianate, qualche ora prima che arrivi Natale.
Ho chiesto a mamma se farà il pasticcio di pollo, negli antipasti, ha risposto che vorrà fare anche una cosa nuova che ha visto in tv. Nella voce quel "torno subito" di quando il passato bussa e tu hai voglia solo di giocare a campana a ritroso nei tuoi ricordi. E siamo noi due, in cucina, io che sfilaccio il petto di pollo, rigorosamente con le dita, perché deve essere così, lei che monta la maionese e, sconfitta, annuncia che è impazzita, mentre io mi preoccupo tantissimo, tanto da correre da mio padre a dire "non mangiare il pasticcio di pollo perché ci attacca la malattia di Gaetano". Gaetano era il nonno dei miei vicini, un signore anziano che regalava elastici come fossero gioielli, mangiava le caramelle e dava le carte ai bambini. Viveva in un mondo tutto suo, non era pericoloso e per farci essere educate con lui, la mamma aveva detto che era un po' matto, ma era pur sempre un nonno da ascoltare.
Oggi parlo d'amore, e lo faccio seduta accanto a un albero che, ogni anno, assorbe un Natale in più, che contiene ogni mio Natale, nessuno escluso, neanche quello della trappola per topi e della crosta di formaggio, neanche quello della pipì nella bacinella, quello di quando l'ho lasciato con in mano il diario dei miei silenzi e sono andata via per sempre o quello delle zeppole messe a gocciolare nella cassetta di legno rivestita dal lenzuolo. Parlo d'amore come lo so, scusate se non è all'altezza della situazione, ma guardo il mondo da un'altra prospettiva, qui, seduta sul pavimento ("e tutto il resto fuori").


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