giovedì 14 novembre 2013

Il profumo del risveglio

Apro gli occhi, che già non è poco, e no, non era un rumore in lontananza, stava dicendo proprio a me. Lo diceva pochi minuti prima, lo dice in quel momento, mentre la fisso, mentre ci sfidiamo, io in silenzio  e lei che parla, parla, strilla, sveglia e pettegola, mentre resisto all'impulso di scaraventarla contro il muro, con gli occhi velati dal sonno.
Già, il sonno.
Quello che non ho quando dovrei, quello che rimando per sognare ancora un po', quello che mi volta le spalle appena spengo la luce e mi giro dall'altra parte, quello che ha preso la notte per il giorno e viceversa; come accade a molti bambini. Forse, appena nata sono stata un'insonne e oggi è diventata cronica la cosa, ma io non sono insonne quando fisso la sveglia mentre lei mi sbraita che è ora di alzarsi.

Scosto il lenzuolo e allungo la mano per azzittire il risveglio. Seduta sul letto, nella penombra, riordino la confusione e penso alla prima certezza del nuovo giorno.

La cucina ha qualcosa d'irreale al mattino, la luce glaciale del neon crea un effetto un po' lugubre, mi ricorda le corsie d'ospedale, illuminate e fredde.
La trovo lì ad aspettarmi, lucida e ordinata. Tre pezzi di speranza. La mia Moka, mentre i piedi iniziano a sentire il freddo della stagione e implorano un paio di calzini, ma ignoro e svito il barattolo che contiene il bacio mancato.
Il caffè è l'amico sicuro, quello che si presenta a casa con due birre perché ti ha sentita un po' giù, quello che non parla se tu sembri distratta, quello che aspetta ma poi ti abbraccia senza che tu lo chieda.
L'attesa del caffè è un momento intimo, mai uguale. Spesso fisso il vuoto pensando a tutto e niente, in silenzio.
Poi il gorgoglio della caffettiera mi strappa spesso il primo sorriso della giornata, la mia tazza è pronta a prendere il primo assaggio, ma l'aroma è mio, su questo sono stata categorica. Stringo tra le dita il calore liscio, ritardo di qualche secondo il contatto, voglio annusare ancora un po', e dimentico la luce asettica della cucina, il pavimento freddo e la voce fastidiosa della sveglia.

L'aroma del primo caffè del mattino non è solo Profumo di caffè. È la prima cosa che trovi ad accoglierti quando rientri la sera, perché resta lì, tra la tua tazza preferita con il fondo macchiato e incrostato di pensieri svestiti e annebbiati e la stanza, se sei uscita senza aprire le finestre.
È quello che ti riporta alla consapevolezza del giorno, ai ricordi confusi di viaggi notturni, e tutto questo avviene mentre mescolo all'infinito quella punta di dolcezza,  giusto per continuare ad annusare quel profumo così simile eppure così diverso da casa a casa, intanto il calore raggiunge le labbra, mentre il palato reclama di più.

I risvegli migliori, associati al caffè, sono quelli a casa dei miei genitori. Ancora adesso che sono una donna, quando vado a trovarli e dormo in quella che era la mia cameretta, al mattino sento le loro voci. Mia madre che rimprovera mio padre "Lasciala stare, lo sai che se la svegli poi si arrabbia ed è di cattivo umore tutto il giorno". Che tenera, si ricorda ancora dei miei vent'anni, di quando arrivavo a orari improponibili e poi non era mai ora di alzarsi, " lasciala dormire, oggi non deve fare niente, ma sarai zuccone, lasciala riposare." E sorrido, mentre immagino mamma in camicia da notte che gesticola, papà perplesso che guarda il bottino tra le mani e la ignora bellamente.  La conferma è la sua voce un po' più bassa che mi chiama dal corridoio, quei due colpetti discreti alla porta e il gioco riprende da dove era stato interrotto un po' di anni fa. Io che fingo di dormire, lui che entra e usa la mano, come fosse un ventaglio sulla tazza di caffè, per farmi arrivare l'aroma. Ecco, quelli sono i risvegli che mi mancano. Nessuno ha mai fatto il caffè come mio padre, tantomeno il servizio in camera con quell'amore che non chiede indietro altro che uno sguardo affettuoso e un complimento, perché il mio babbo è orgoglioso quando gli dico che il suo caffè è più buono di quello di mamma, e ignora l'occhiolino e la risatina delle sue donne.

Intanto la mia tazza è quasi vuota.
Con l'ultimo sorso, la stanza sembra essere più tiepida; siamo quasi in inverno e il caffè, in questa stagione, profuma di più, come una coperta calda e morbida, che quando sei rannicchiata sul divano riesci a stringere a te, un po' di più.
La mano sulla tazza, lo sguardo sulla frase che leggo ogni mattina, su quel fumetto scompigliato che mi rappresenta molto; e mi era sembrato di vedere con la coda dell'occhio uno stralcio di sogno voltare l'angolo e sparire, lo stavo afferrando ma è scappato.

Le mattinate non sempre possono essere pigre, tornerà, mica posso giocare a nascondino, e i sogni non si rincorrono; quando si affacciano devono essere a portata di mano, altrimenti vuole dire che non vogliono lasciarsi prendere.
La parte più triste è sempre abbandonare tutto questo, perché è tardi, perché il traffico non aspetta, perché la luce a neon della cucina ti richiama alle corsie che perdono una vocale, allora si fa tardi e devi correre, con il sapore del caffè che ti accompagna mentre ti lavi, mentre ti pettini e ti vesti; anche se vorresti restare scalza ancora un po', magari mettere sul fuoco un'altra moka e ricominciare dall'inizio, con un abbraccio diverso questa volta, perché il caffè ti abbraccia sempre, ma solo il primo riesce a chiacchierare con te e ad ascoltare, senza dover dire una parola.







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