Cara mamma,
è da tanto che non ti scrivo, da quelle letterine imposte dalla maestra, copiate e ricopiate per colpa di una cancellatura di troppo o di una sbavatura colorata che faceva così disordinato, e il disordine, lo sai, a Suor Gisella non piaceva. Lei ci dettava l'amore in rima, mamma, e io dovevo amarti così, a piccoli balzi, impacciata, come un colibrì. Visto che disastro? Proprio non ci riuscivo. Io voglio amarti come mi hai insegnato tu, ansiosa, preoccupata, apprensiva e sì, diciamocelo mamma, anche un po' nevrotica, seppur amorevole e presente. Attenta.
In rima no.
Cara mamma, finalmente è arrivato un Novembre familiare, non freddo come quelli dei proverbi della nonna, ma grigio abbastanza da sentirmi un po' più viva. Non so se te l'ho detto, ma quest'estate mi ha messo in ginocchio, sono stata male mamma, ma non potevo dirlo a te, non come avrei voluto io, perché se c'è una cosa che ho capito di te, è che tu lotti sempre per qualcosa o qualcuno che non sia tu, ed è questa la tua forza e la tua fragilità, in questo ci somigliamo abbastanza. Ora che l'estate è passata vivo nel terrore che questo inverno voli via in fretta, tanto da non riuscire a trattenere la condensa delle parole urlate al vento tagliente, tanto da ritrovarmi in un riverbero giallo che non mi rispecchia, ma che mi tiene prigioniera dentro l'effetto morgana che mi solca il viso.
Sono passati alcuni mesi, la mia app dice che manca poco a Natale, e quest'anno lo sento poco. Scherzo sulla neve che non arriva, sui doni e sui film, ma volevo dirti che al telefono non puoi vedere lo sguardo serio, quasi assente, di una donna delusa. Una volta mi hai raccontato che le persone ti cercano solo quando stanno male e di quando non sentivi le colleghe, amiche o cugine, perché stavano bene, poi tornavano quando dovevano annunciare guai e disgrazie e tu eri sempre lì, pronta ad ascoltare, fino a quando hai esaurito la tua energia, allora sono scomparse tutte. Una volta mi hai raccontato della tua attenzione a non annoiare gli altri con i tuoi problemi, tu che hai sempre avuto la delicatezza di non pesare sulle persone vicine, figuriamoci sugli estranei, e avrei voluto dirti che ho imparato da te queste lezioni, tanto da sembrare forte e competente, come se ci credessi davvero ai miei "andrà tutto bene" mentre quella paura sottile che tutto crolli, mi vibra sotto i piedi.
Sabbia.
Cara mamma, Novembre è arrivato, ho acceso i termosifoni e fuori piove, no, non scrivo per parlarti del tempo, volevo dirti che vivo nel terrore tu possa stare peggio di così, che sono un'arrogante del cazzo, ma è tutta scena, e sono stanca di elargire risposte; le persone vogliono consigli, le risposte invece non piacciono, sono dirette, come l'aria del mattino dei Novembre dei proverbi della nonna. Cara mamma, ho ricominciato ad avere paura di sognare, vorrei chiederti di raccontarmi i tuoi di sogni, ma ho paura anche dei sogni degli altri, vorrei chiederti di non dormire, potresti ascoltarmi parlare di quando m'insegnavano ad amarti in rima, io che sono cresciuta amandoti così, come un dipinto astratto, nato dall'emozione più nascosta del suo pittore. Vorrei ascoltarti ricordare e accarezzare la giovinezza nel tuo sguardo, per una notte intera, forse due, per poi addormentarmi accanto a te e potermi sentire ancora un po' piccola; quel tanto da rimandare le responsabilità, fino alla prossima estate, fino al grigio dell'orizzonte osservato dal vetro appannato del tempo.
Lascia stare la clessidra, mamma, lascia ferma la sabbia e raccontami un altro proverbio Novembrino.
lunedì 6 novembre 2017
mercoledì 2 agosto 2017
Estate, mi domando
Più passano gli anni e più mi domando come facessi a dormire così, appiccicata a mia nonna, a mia sorella, a mia mamma, a mio papà o con tre peluche, mentre fuori le cicale facevano festa e Giuseppe piantava i pali della vigna a tempo del frinire insistente.
La fronte, il collo e i capelli madidi, mentre l'estate soffiava il suo respiro, bruciando sotto la pelle, sfocando i sogni di quel sonnellino pomeridiano "così poi andiamo a prendere il gelato, quando ti svegli".
Ancora mi domando come facessi a dormire e svegliarmi sorridente, nella mia maglietta bianca, con i miei slippini a righe rosse un po' sbiadite, sorridente, nonostante il caldo e le cicale insolenti. Un sorriso a dispetto dei problemi dei grandi e della loro fretta, ma una promessa è sempre stata una promessa e io avevo dormito. Un sorriso per il gelato fragola e fior di latte, perché al cioccolato non mi piaceva e loro lo sapevano.
Ancora mi domando come facessi, quando nei locali pubblici non c'era aria condizionata e fumavamo tutti insieme. Estate e inverno, anche nelle mezze, ora che ci penso. Quelle paglie bruciate di fretta guardando verso la porta, ché se fosse entrato qualche conoscente spione sarebbero stati guai. Quando il sole ci baciava in spiaggia e non volevo più dormire con nonna, mamma, sorella, papà né peluche, quando non osavo dormire tra braccia estranee, ma disegnavo con la mente come potesse essere, d'estate, durante i pomeriggi al mare a fingere che l'acqua fosse troppo fredda per nascondere i brividi, mentre il sole ci bruciava lentamente. Mi domando come facessimo, quando nessuno diceva di bere tanto, lentamente sì, ma mai tanto. Io le ricordo tutte le mie estati, noi che viviamo in città di mare abbiamo sempre fatto i conti con la solitudine degli inverni e la nostalgia delle labbra salate, fatte di promesse sciolte nella schiuma delle onde. Noi che siamo cresciute in città di mare abbiamo una canzone per ogni persona che si è fermata ad ascoltare quello che siamo, quando ancora era tutto spontaneo, quando ancora gli scogli ci nascondevano e le sirene arrossivano.
E mi domando come facciano, adesso, senza un'estate da poter ricordare al buio della stanza in una sera di metà settembre, mentre il lenzuolo copre le spalle baciate dall'ultimo sole della stagione, senza l'attesa del postino e di una cartolina che ti strapperà un sorriso e una punta di gelosia di tuo padre.
Estate diversa, di locali freschi e istantanee di plastica, di caldo esterno ed emozioni confezionate, niente scogli signori o il mondo non saprà mai quanto sia bassa la notorietà. Mentre suona un allarme che azzittisce una cicala, mi domando perché.
La fronte, il collo e i capelli madidi, mentre l'estate soffiava il suo respiro, bruciando sotto la pelle, sfocando i sogni di quel sonnellino pomeridiano "così poi andiamo a prendere il gelato, quando ti svegli".
Ancora mi domando come facessi a dormire e svegliarmi sorridente, nella mia maglietta bianca, con i miei slippini a righe rosse un po' sbiadite, sorridente, nonostante il caldo e le cicale insolenti. Un sorriso a dispetto dei problemi dei grandi e della loro fretta, ma una promessa è sempre stata una promessa e io avevo dormito. Un sorriso per il gelato fragola e fior di latte, perché al cioccolato non mi piaceva e loro lo sapevano.
Ancora mi domando come facessi, quando nei locali pubblici non c'era aria condizionata e fumavamo tutti insieme. Estate e inverno, anche nelle mezze, ora che ci penso. Quelle paglie bruciate di fretta guardando verso la porta, ché se fosse entrato qualche conoscente spione sarebbero stati guai. Quando il sole ci baciava in spiaggia e non volevo più dormire con nonna, mamma, sorella, papà né peluche, quando non osavo dormire tra braccia estranee, ma disegnavo con la mente come potesse essere, d'estate, durante i pomeriggi al mare a fingere che l'acqua fosse troppo fredda per nascondere i brividi, mentre il sole ci bruciava lentamente. Mi domando come facessimo, quando nessuno diceva di bere tanto, lentamente sì, ma mai tanto. Io le ricordo tutte le mie estati, noi che viviamo in città di mare abbiamo sempre fatto i conti con la solitudine degli inverni e la nostalgia delle labbra salate, fatte di promesse sciolte nella schiuma delle onde. Noi che siamo cresciute in città di mare abbiamo una canzone per ogni persona che si è fermata ad ascoltare quello che siamo, quando ancora era tutto spontaneo, quando ancora gli scogli ci nascondevano e le sirene arrossivano.
E mi domando come facciano, adesso, senza un'estate da poter ricordare al buio della stanza in una sera di metà settembre, mentre il lenzuolo copre le spalle baciate dall'ultimo sole della stagione, senza l'attesa del postino e di una cartolina che ti strapperà un sorriso e una punta di gelosia di tuo padre.
Estate diversa, di locali freschi e istantanee di plastica, di caldo esterno ed emozioni confezionate, niente scogli signori o il mondo non saprà mai quanto sia bassa la notorietà. Mentre suona un allarme che azzittisce una cicala, mi domando perché.
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