martedì 10 dicembre 2013

Lo spirito dei Natali passati


"Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell'appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant'oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.
Badiamo! non voglio mica dare ad intendere che io sappia molto bene che cosa ci sia di morto in un chiodo di porta. Per conto mio, sarei stato disposto a pensare che il pezzo più morto di tutta la ferrareccia fosse un chiodo di cataletto. Ma poiché la saggezza dei nostri nonni sfolgora nelle similitudini, non io vi toccherò con sacrilega mano; se no, il paese è bell'e ito. Lasciatemi dunque ripetere, solennemente, che Marley era morto com'è morto un chiodo di porta. "  (Incipit Cantico di Natale, Charles Dickens)
Inutile dire che, per me,  questo libro sta al Natale come i pinoli stanno al pesto alla genovese, la salsa verde al bollito o la mozzarella alla pizza. Poi c'è chi è intollerante, allora il discorso cambia, ma sono onnivora per quanto riguarda il cibo, quindi, scrivo parlando di me e senza la pretesa di divulgare il "verbo" spacciandolo per verità assoluta, come sempre.

Prima di proseguire, se sei intollerante, devo avvisarti che questo post contiene materiale altamente Natalizio; se hai problemi, la "X" è sempre lassù. Scappa, finché sei in tempo.

Fingerò di sentire la mia campana suonare l'una e di essere in piena notte. Abbracciata dalle lucine del mio Albero di Natale ricevo la visita dello spirito dei miei ricordi. Nessun fantasma, solo profumo di mandarini, di frittelle e la voce di un albero ben più lontano, quello vero che profumava di resina e perdeva aghi.
Quello che mi parlava.

"frrrrr frrrrr" restavo rannicchiata in quell'angolo ad ascoltare la sua voce, un'intermittenza difettosa che per me erano parole. Al buio di quell'angolo del salotto, mentre la mamma era intenta a mettere via le scatole vuote degli addobbi che ricordavo a memoria ma che, di anno in anno, guardavo con occhi diversi.
"Frrrr frrrrr"
"chissà Gesù Bambino cosa mi porterà?"
"frrrrrr frrrrrr"
La nonna mi aveva insegnato che i doni li portava Gesù Bambino, quando vedevo Babbo Natale in televisione facevo un po' di confusione, perché tutto il mondo aspettava il vecchio con pancione e barba bianca, vestito di rosso, e poi nessuna pubblicità mostrava un neonato con un sacco pieno di doni, ma la nonna aveva una risposta a tutto e quando iniziai a domandare perché, facendo notare che il vecchietto aveva più mezzi per accontentare i bambini, mi risposero "Babbo Natale porta i doni, ma è Gesù Bambino che gli dice cosa e a chi, inoltre gli dà il potere di volare con la slitta e riuscire a fare tutto in una notte" così, in un colpo solo, avevano risolto le domande scomode, senza doversi rimangiare la prima versione dei fatti. E io passai a Babbo Natale, con un occhio sempre verso Gesù Bambino, del resto, era lui che "comandava".

"Frrrrr frrrrr"
Il calore della stanza e il pavimento fresco. Amavo guardare la pelle delle mie manine colorarsi di lucine danzanti. Ora sì, ora no.
Ricordo che chiudevo gli occhi e li aprivo di scatto, per scovarle, a volte si spegnevano un attimo prima "frrrr" lo sentivo ridere, era il gioco più bello del mondo.
L'albero era panciuto, tutto colorato, non c'era una tonalità predominante. Le palline erano tutte in vetro, c'erano pigne argentate, rosse, verdi e blu, casette e alberelli di Natale in miniatura, piccole natività intagliate dentro sfere di vetro soffiato, così precise da sembrare progettate da architetti di fama internazionale. I festoni erano il contenuto degli scatoloni che mi era consentito toccare mentre i miei facevano l'albero, il tocco finale. Mentre indicavo i rami più spogli,  mi avvolgevo intorno al collo e alla vita questi "boa argentati" e facevo la diva anni '30.
La fila di Luci, anch'esse tutte colorate, era una catena di casette di plastica, poi c'erano le classiche stelline con tutti gli spuntoni, sì, quelle che si staccavano e finivano sotto i piedi facendoti saltare con le lacrime agli occhi e, infine, le mie preferite; una serie di lanterne bianche che assumevano il colore della lampadina. E, mentre anche l'ultimo festone avvolgeva i rami profumati del mio amico di sempre, saltavo felice, proprio come le immagini dei bambini intorno all'albero di Natale. Mi sentivo una bimba da cartolina, con le trecce e gli occhi pieni di felicità.
"Spegni la luce, presto!" e si accendeva la magia.




Dei Natali passati ho molti sprazzi di felicità, sono stata fortunata, forse per questo vivo questo periodo dell'anno con tanta gioia, o forse dovrei definirla nostalgia, onestamente non so collocare gli aneddoti in un preciso contesto temporale, so che il profumo era sempre quello, sia a casa nostra che dalla nonna.
Già dal mese di Novembre i miei mi tenevano sotto scacco con piccoli ricatti morali. Bastava dirmi "Va bene, tu continua pure, poi però, se sotto l'albero troverai gli aghi di pino…" e mi trasformavo in un angelo di bambina. La paura che Babbo Natale andasse dritto davanti al tetto di casa mia era tanta, e non ho mai avuto il minimo dubbio su questo: i capricci non piacevano alla mamma, a papà, alla nonna e neppure a Gesù Bambino e Babbo Natale. Oh, neanche alla Befana, se è per questo, ma ero terrorizzata da quella vecchia; più della paura di non ricevere dolciumi, c'era quella di vederla e beccarmi una scopata sulla schiena, era il modo per mandarmi a dormire senza storie e il passatempo preferito di mio padre, quello di terrorizzarmi con la Befana, ma questo è un altro capitolo, torno subito ai miei Natali, quelli che mi facevano comportare bene; mentre la mamma tornava dal lavoro un po' più tardi del solito e andava in giro per negozi un po' più volte del normale, ma non riuscivo a capire perché non ci fossero i sacchetti della spesa, passava dalla nonna a salutarci, a volte mangiava un boccone con noi e poi andavano a casa. Ogni sera la stessa storia, fino alle vacanze, e allora si tornava a casa, avevo nostalgia della nonna ma appena si faceva l'albero mi sentivo meno sola. E glielo raccontavo.
I giorni passavano e, a parte qualche panettone o dolcetti vari, non c'era ombra di alcun regalo. Sono cresciuta con l'attesa del passaggio di Babbo Natale, i pacchi dono apparivano solo dopo il suo arrivo: da zero a dieci. La magia era questa. Rendermi conto di quanti pacchetti apparivano dal nulla, la bravura dei miei genitori consisteva nel farmi sentire o vedere cose che non c'erano mai state.
"Hai sentito questa folata di aria fresca? vai a vedere, arrivava dalla sala" oppure "Erano forse campanelli quelli che ho sentito?" E io rabbrividivo per uno spiffero che non era mai esistito o asserivo di aver sentito il rintocco di un campanellino, forse erano due.
Mi affacciavo sulla porta del salotto, la stanza immersa nel buio, a tratti illuminata da casette, stelline e lanterne colorate "frrrr frrrrr" Il cuore che martellava nel petto, un po' per paura "Dormi, se fai la furba e cerchi di sbirciare, Babbo Natale va dritto e non ti lascia i doni." i miei genitori erano molto giovani quando hanno avuto mia sorella e me, a volte non resistevano e la notte della vigilia, quando eravamo un po' più grandine, ci tenevano sveglie, mettevano i doni e ce li facevano vedere prima di andare a dormire. Succedeva anche quando mia madre aveva da fare la mattina di natale e non poteva gustarsi il nostro entusiasmo, quindi appena scoccava la mezzanotte piazzava sotto l'albero tutti i pacchetti, dal primo all'ultimo, ci faceva una recita da oscar e noi scoprivamo la magia la notte della vigilia, così, la mattina dopo poteva alzarsi con calma e fare tutte le sue cose, mentre noi dormivamo con un sorriso stampato sulla faccia.
Una volta era anche successo che tutti e due erano crollati senza riuscire a sistemare i doni, quella mattina ero stata svegliata dalla voce agitata di mia sorella, era molto presto, si era alzata per andare in bagno e non aveva resistito senza dare un'occhiata al nostro albero.
"Babbo Natale è andato dritto, non è passato e l'albero è spento!"
La mia paura aveva superato la voglia di dormire, Babbo Natale era andato dritto. Mentre correvo a piedi scalzi per controllare che mia sorella non avesse sbagliato, mamma e papà dalla loro camera, ci redarguivano "Tornate a letto, è l'alba!"
C'era qualcosa di stonato. La sala era immersa nel buio, il mio albero non parlava e le luci erano sparite.
"Babbo Natale è andato dritto, mamma, papà, non ci sono regali!"
Tutto era sbagliato.
Non so quando fosse arrivata mia madre, dietro di noi, il viso incredulo, anche un po' colpevole e preoccupato, ma io ero già in lacrime; sentivo la risata di papà dalla camera, tossiva e rideva, non riusciva a parlare "Cucciola ahaha, vieni qui e raccontami cos'hai combinato per non prendere regali" e mentre non mi rendevo conto che, in realtà lui stava solo intrattenendo mia sorella e me, forse in un modo un po' opinabile, la mamma era andata chissà dove. Ricordo che ero infastidita dal buonumore di mio padre, gli spiegavo che non avevo fatto proprio niente, non avevo sbirciato neanche una volta e, mentre la mamma era ricomparsa, con un po' di fiatone e un mezzo sorriso d'intesa verso la sua divertita metà, eravamo tutti e quattro nel lettone a parlare, io con i lucciconi agli occhi, mia sorella più pensierosa, papà con le lacrime, ma non per il mio stesso motivo, e la mamma sempre con quell'espressione grave che però si dileguava nello sguardo.
"Shhh avete sentito?"
Tesi l'orecchio, forse qualcosa avevo sentito, un campanellino, un fruscio o un colpo di tosse. Papà, improvvisamente serissimo "Urca sì, adesso vado a vedere che non sia entrato qualcuno, 'spetta che mi alzo."
Non aveva ancora toccato il lembo del lenzuolo che mia sorella e io eravamo già davanti alla porta della sala.
"Frrrrr frrrrrr"
L'albero  parlava e le luci erano tornate: tutto era giusto.
Dei miei Natali passati, ricordo sempre quel breve lasso di tempo che sembrava infinito: il momento in cui gli occhi vedevano tutti quei colori, pacchi e pacchetti e il cuore assorbiva la magia.
Non parlavo, mi emozionavo, trattenevo il respiro e la prima a urlare era sempre mia sorella "Mamma, papà è passato, è passato Babbo Natale!"
Allora mi destavo da quello stato di apnea involontario e mi avvicinavo a lei che aveva già in mano un po' di pacchetti. Ricordo noi due, sotto l'albero,  papà e mamma sorridenti sulla soglia della porta, forse un po' troppo emozionati, ma la mamma si emozionava anche guardando la pubblicità dei bambini sconosciuti, non faceva testo all'epoca, i nomi sui pacchetti, e il rumore della carta strappata che copriva la voce del mio albero.

Nel mio passato ci sono lunghe sere della vigilia passate con mamma, papà e nonni paterni, loro erano più anziani della nonna che badava a mia sorella e me tutto l'anno, quindi passavano in genere una festa con noi e una con la figlia, la sorella di mio padre, quando loro venivano la sera della vigilia, passavamo il Natale con la nonna materna, che preparava a casa sua, così la mamma poteva anche riposare, lavorando tutta la settimana era molto stanca; e quando i nonni paterni passavano il Natale con noi, la vigilia si passava dalla nonna materna.
Quelli erano i Natali più massacranti per mia madre,  perché l'indomani avrebbe avuto a pranzo l'intera famiglia paterna. Il pacchetto comprendeva nonni, zia e cugine, fidanzate dei cugini e le tavolate si sprecavano, ma noi avevamo il nostro daffare con i regali, sapevamo che non si doveva stare intorno alla cucina, e tutto filava liscio.
Di quanto ero piccola, ricordo i racconti di mia mamma e della nonna, dei loro Natali, alcuni un po' tristi, mamma ha perso il papà in età molto tenera, aveva dodici anni ed era la più grande di tre fratelli. Raccontava che quando c'era suo papà era sempre una festa lunghissima. Conoscevano famiglie poco fortunate, chi era vedova, chi aveva poche possibilità. La famiglia di mia mamma non era ricca, ma all'epoca mio nonno aveva una discreta posizione lavorativa e tutti loro potevano ritenersi fortunati, quindi mia nonna e lui preparavano una spesa da portare a famiglie di loro amici che, per un motivo o per l'altro, non potevano permettersi un Natale decoroso, e qui, non si trattava di regali e giochi per i più piccoli, ma di pietanze da mettere in tavola. Passavano la vigilia da una, poi si univano tante altre persone conoscenti, chi portava le frittelle, chi l'arrosto, chi il brodo e chi i dolci, la famiglia che ospitava in genere preparava le torte di verdura, cibo più economico, buono al palato e salvezza per il loro amor proprio, "così partecipavano attivamente alla festa senza sentirsi troppo poveri" diceva la nonna, e la mamma con lo sguardo perso in una malinconia lontana, annusava la buccia di un mandarino, con un sorriso triste.
Quando la nonna rimase vedova, aveva poco tempo per piangere la sua solitudine, lei non aveva mai lavorato, e c'erano figli da far studiare. La sua prima preoccupazione,
Nonostante le condizioni economiche fossero cambiate notevolmente, portò avanti la tradizione del gesto caritatevole nei confronti di persone meno fortunate, anche se lei aveva perso tutto. E per "tutto", qui si parla di quella parte di sé che era cuore, sangue e tanto amore. La sua quercia.
Quando eravamo bambine ricordo che la nonna materna aveva sempre un pacchetto per qualche persona anziana. Non erano giochi, vestiti o calzini, erano cose che io non capivo che tipo di regalo potesse essere. Caffè, zucchero, pasta, latte e biscotti. A volte mi portava con lei, qualche giorno prima delle feste, e le persone che andavamo a visitare erano due vecchiette, una di queste aveva una sorella un po' svitata e  mi faceva tanta paura, a casa loro non c'era albero, non c'erano luci e, a parte un vecchio Presepe che sembrava più un paese terremotato, non c'era traccia dello spirito Natalizio.
Da quando mia madre era cresciuta, ovviamente il Natale si faceva ognuno a casa propria, non esistevano realtà o condizioni come quelle della sua infanzia, o meglio, erano ben nascoste, ma né lei né mia nonna, dimenticavano queste due vecchiette.
"Lei mi portava sempre i mandarini e qualche caramella. Non avevano i soldi per il latte, ma non si dimenticava mai di me e degli zii." Era la gratitudine di una donna sola che era stata aiutata da amici in un momento nero della sua vita. A modo suo, rimase vicina a mia nonna nel suo dolore, fino a quando il sorriso del tempo si sostituì alle sue lacrime nascoste. Mia mamma, ancora oggi, ricorda la discrezione del dolore della nonna, per non lasciar trasparire la sua disperazione e dare un po' di coraggio a lei, l'unica figlia femmina che aveva avuto tutto l'amore di quel padre scomparso troppo presto, e ai miei zii ancora più piccoli.
Questi racconti mi mettevano un po' di tristezza, ma poi passava, intanto la nonna friggeva le frittelle, mentre la televisione mostrava la pubblicità della Bauli o della Vecchia Romagna etichetta nera, e io pregavo affinché Babbo Natale né Gesù Bambino mi facessero mai trovare sotto l'albero una bottiglia di quella roba lì.



Ci sono alcune immagini del passato che mi seguono ovunque io vada, nel periodo delle festività natalizie. Ancora oggi, quando vado per strada, osservo le luminarie a bocca aperta, le serate del mese di Dicembre offrono un panorama serale che mi scalda il cuore. Quando cammino per strada, la sera, resto incantata dalle luci degli alberi che si vedono dalle finestre di case sconosciute, immagino gioia e serenità di famiglie mai viste, o almeno, mi auguro sia così, e penso sempre di vedere una piccola peste con le trecce e il naso appiccicato al vetro.
A casa mia l'albero di Natale si faceva rigorosamente di fronte alla finestra. Quando era finito si aspettava venisse il buio, per uscire in giardino e ammirarlo. Non sono cresciuta in città, lo vedevamo solo noi e le poche persone che passavano dalla stradina adiacente casa, ed era uno spettacolo di un'intimità disarmante. La nonna, invece, abitava in un appartamento, ma anche lei addobbava un albero davanti alla finestra. Il suo era guardato da molte più persone e lei aveva un'altra usanza. I miei zii decoravano i vetri delle finestre con disegni a tema. Mi piaceva aiutarli, anche se, puntualmente, scarabocchiavo e molte volte cercavano di farmi trovare tutto pronto per evitare capricci da parte mia (ma avevano sempre il jolly, loro:  "se non fai la brava Babbo Natale tira dritto") e lavorare in pace.
La notte di Natale, la nonna, accendeva sempre una candela davanti alla finestra più piccola della casa, dopo aver tolto le tende, per non appiccare incendi a sorpresa e nell'angolo della sala c'era un presepe immenso.
Io giocavo con le sue statuine, lei me lo lasciava fare; poi tornava a casa lo zio Piero e brontolava perché trovava pastori dentro la capanna e pecore sui tetti delle case, ma il presepe a casa mia non c'era, quindi dalla nonna c'era un divertimento diverso e poi il suo albero non parlava come il mio.

Ogni anno, la nonna, prendeva un grosso ramo secco. Uno di quelli spogli, con le dita scheletriche, talmente marrone da sembrare nero.
lo fissava in un vaso pieno di vecchi maglioni, copriva il tutto con carta da regalo riciclata, metteva poche palline, qualche batuffolo di ovatta e una fila di lucine colorate. Sembrava un paesaggio invernale innevato. Era bellissimo.
Il suo piccolo balcone era decorato con una fila di luci grandi come palline da tennis, erano arancioni, verdi, gialle, blu e bianche, con l'effetto buccia d'arancia, e ricordo che la sera, con il nasino appiccicato al vetro, osservavo i passanti, avevo lo sguardo fiero; pensavo che nessuno di loro avesse quelle luci, ed era vero. Quelle luci erano sopravvissute, probabilmente, a una qualche battaglia di quelle che si studiano sui libri di storia, infatti non ne avevo mai viste in giro, come quelle.
La Vigilia a casa della nonna era ricca di storie, essendo meno persone a tavola, si riusciva a guardare La vita è meravigliosa e altri vecchi film a tema, poi c'erano i racconti tratti da classici come quello di Dickens, o storie di Natali molti diversi dalla mia realtà, vissuti sulla pelle e nel cuore dei narratori, io ascoltavo a bocca aperta, e quando tornavo a casa ero talmente stanca da non avere paura dei tre fantasmi del Natale, e poi sarebbe arrivato Babbo Natale e, a differenza di Scrooge, amavo questa festa, non correvo alcun rischio.

Intanto, nel mio presente di donna, sono scese le prime ore della sera, fuori il freddo è umido, accanto a me c'è un albero con tanto di nome, che mi parla. Non come quello del passato ma, a modo suo, lo fa.
Lo spirito dei miei ricordi si sta dileguando ma prima ha ancora qualcosa per me.



Non ricordo i motivi che portarono tutte quelle persone a casa mia quella Vigilia, so solo che, per mia sorella e me, proprio Quella è stata La Notte di Natale per eccellenza.
C'erano i nonni paterni, la zia, le cugine, la mia nonna materna, gli zii e noi quattro. Mamma, papà, mia sorella e io.
Prima di parlare della magia di quella notte, è bene dire che mia mamma e la zia paterna, erano anche colleghe di lavoro. Quando prendevano la tredicesima, e sì, quando ancora quella mensilità extra aveva il suo giusto peso, la devolvevano a figli, nipoti e cibarie per cena e pranzo festivo.
La zia regalava sempre a mia sorella e me qualcosa d'importante, lo stesso faceva mia madre con i suoi figli, anche se uno dei miei cugini era già in età da fidanzata e non facevamo in tempo ad abituarci al nome di una, che dovevamo subito impararne un altro. Quell'anno era il turno di Tiziana. C'era anche lei, con i suoi capelli biondo platino lisci e lunghi e le unghie smaltate di rosso, l'ombretto sugli occhi e un profumo buonissimo. Ricordo che non smettevo di guardarla, fino a quando non presi la mia bambola e le dissi che aveva gli stessi capelli. E non era proprio stato un complimento per lei, visto che disse di avere i capelli molto più morbidi, con un tono da smorfiosa un po' più acido del normale. Decisi che Tiziana non mi era simpatica. E non lo era neanche a Rebecca, la mia bambola.
Eravamo circa sedici persone. In casa, quell'anno, c'erano dei lavori in corso a causa dell'impianto di riscaldamento, la sala non era agibile e i miei genitori avevano deciso di mangiare in un rustico che in genere usavano per le feste estive o quando si facevano le pizze e il pane caldo nel forno a legna. Era la baracca del forno, come la chiamavamo noi, in realtà era un ambiente molto ampio con stufa e forno a legna. Piastrelle linde e servizio di acqua corrente, calda e fredda. Della baracca aveva ben poco. Esisteva da quando ci abitava mia mamma con i miei zii, la casa dove vivono tutt'oggi i miei genitori, era la casa d'infanzia di mia madre, modificata per molti aspetti, ma sempre lei. Il mio rifugio.

Ricordo che ero un po' triste perché non avrei avuto il mio albero di natale sott'occhio, a causa dei disagi in casa era stato allestito alla fine del corridoio, allora mio padre aveva addobbato, in fretta e furia, un piccolo ramo di abete anche nel rustico, giusto per non vedere più il mio broncio, e fu una serata perfetta.
La mamma aveva lavorato dalla mattina presto intorno ai fornelli, aiutata dalla nonna, mia zia era arrivata verso sera portando altre cose buone, nessun pacchetto fra le mani, ma questa era la normalità, non ci aspettavamo niente dalle persone noi. Infatti, per non creare ulteriore confusione, avevamo il Babbo Natale di mamma e papà, quello della nonna o quello della zia, ecc. In pratica loro avevano chiesto un dono per mia sorella e me e noi dovevamo ringraziare per il pensiero. Del resto io, a Babbo Natale e per gentile intercessione di Gesù Bambino, chiedevo cose per me, mica per qualcun altro, e loro erano proprio carini, tutti, a pensare a noi.
La sera di quella Vigilia trascorse tra risate, cibo e giochi. Arrivata una certa ora iniziavo a fare il giro delle braccia. Un po' dai nonni, un po' dalla zia, da papà e dalla mamma; sbadigliando sbirciavo mio cugino e la sua nuova bambola intenti a sbaciucchiarsi e, come tutti i bambini stanchi e annoiati, non trovavo l'abbraccio comodo. Fino a quando non arrivai dalla nonna. Le sue braccia erano come il proprio letto dopo una settimana di vacanza. intanto sentivo il suo profumo e la sua voce, chiudevo gli occhi, li riaprivo, li chiudevo ancora. Nell'aria il tintinnio dei bicchieri e il profumo delle bucce di mandarini sulla stufa a legna. Il calore era piacevole, rassicurante.

Dal rustico a casa c'era una scalinata di cemento e un tratto di strada al buio, quando si doveva andare in bagno c'erano le solite raccomandazioni "metti il cappello, chiudi il cappotto davanti, vieni qui che ti metto la sciarpa" Uscire da un ambiente riscaldato dalla stufa a legna, per affrontare il gelo notturno di Dicembre, faceva sì che, una volta fuori, comprendessi il motivo di tutti quegli strati di lana. Era scoccato il momento "pipì". In genere veniva sempre la mamma o la nonna ad accompagnare la bambina che aveva bisogno del bagno, la casa era chiusa a chiave e il buio esterno era rischioso, i ruzzoloni si sarebbero sprecati se ci fosse stata un po' di disattenzione. Lo dissi sottovoce alla nonna, la mamma sentì e disse a mia sorella e alle mie cugine di approfittare della sua guida per andare in bagno. Le proteste arrivarono "a me non scappa" e, mentre mi stratificavano d'indumenti, anche la zia e i nonni iniziarono a insistere affinché tutti i bambini andassero in bagno.
Ricordo che mentre tutti protestavano, io ero molto indaffarata a restare concentrata per non bagnare i pantaloni, una volta arrivati in casa la prima cosa che vidi fu la luce del mio albero, in fondo al corridoio, e mi sorrideva. Intorno solo due scatole di cioccolatini e un pandoro Bauli, forse anche un panettone.
Nient'altro.
Corsi in bagno, intanto sentivo mia cugina Francesca che parlava con mia sorella dalla nostra cameretta, lì accanto. Si stavano togliendo cappotti e sciarpe, quando uscii, aprendo la porta, lo spettacolo davanti ai miei occhi mi lasciò senza parole e respiro.
Sotto l'albero erano comparsi così tanti pacchetti, che non si vedevano i rami bassi.
A bocca spalancata restai immobile sulla soglia, chiamai mia sorella a voce alta, solo lei. In quel momento avevo dimenticato cugini, zii e nonni, avevo dimenticato perfino i capelli platinati e stopposi di Tiziana, volevo mia sorella, mamma e papà.
Mia sorella si affacciò dalla camera, guardò me sulla soglia del bagno e seguì il mio dito puntato verso l'albero.
"Mamma, papà, è arrivato, è arrivato!"
Era sempre lei che sbloccava la situazione.
Uno a uno, dalla cucina, si affacciarono gli adulti, mia cugina era più grandina, era nella fase "forse Babbo Natale non esiste", ma quella notte si tolse i dubbi, almeno per un po' ancora.

La bravura dei miei era quella di farti vivere la magia del Natale. Avevano aspettato che passassimo tutte davanti a quell'albero, testimoni inconsapevoli. Nel giro di poco piazzarono tutto e si tolsero dalla vicinanza. O forse non erano stati loro, non quella volta.
So solo che così tanti regali tutti insieme non li avevo mai visti. Non erano tutti nostri, eravamo tanti bambini, ma a casa mia si confezionava anche un sacchetto di palloncini o una scatola di Crystal Ball. Quella fu la vigilia di una bambola bellissima che, ancora oggi conservo. Ok, non ride e non piange più, ma esiste e si chiama Nella. Babbo Natale dello zio Piero.
Carrozzina come quelle vere, palloncini, libri da colorare, altra bambola, scatola di colori, pennarelli, calze, mutande, caramelle e cioccolatini. Pentoline e tante cose per tutti. Quella è stata La Vigilia, mentre tutti ridevano e giocavano, io ridevo piangendo; ed ora che si è fatto giorno, il fantasma dei miei ricordi sta andando via, lasciando un po' di quel profumo ad avvolgere queste giornate. E sono qui. Presente, con il Natale odierno, con altre cose che mi fanno amare questi giorni, con altri pensieri che oggi vivo con un po' di compere da fare, con il cuore di bambina e così tanta gioia da sperare sempre di essere contagiosa, così dicono, nel periodo dell'anno che amo di più.
Nella











































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