Mamma e i tentativi di rispolverare la sua giovinezza e la mia infanzia, mamma e il sorriso nella voce come non ascoltavo da tempo, mamma che incalza il passato a farsi sotto e, in una manciata di secondi, decido di farmi prendere per mano lasciandomi accompagnare in quella baracchetta che per l'occasione si trasformava in macelleria.
L'odore del nonno paterno era qualcosa che avrei riconosciuto a occhi chiusi. Una mescolanza tipo terra arsa dal sole, tabacco ed erba bagnata. Quando faceva merenda e, con il suo pane e formaggio beveva due dita di vino, odorava anche di mosto.
In quei giorni freddi di Gennaio, l'odore di pancetta e di prosciutto non riuscivano a mascherare le note di cuore.
Ricordo che mia sorella e mia cugina scappavano arricciando il naso, io volevo entrare, mamma cercava di mandarmi a giocare, il nonno rideva e tirava fuori uno dei suoi coltellini a serramanico, il mio preferito era quello minuscolo, bianco madreperlato e il nonno mi raccontava sempre la stessa storia, quella della principessa che possedeva quel coltello, una storia così ricca di particolari, sempre gli stessi, mai una virgola diversa, tanto che, nel corso degli anni, quasi ho pensato fosse tutto reale. Facendomi spazio sulla sedia di legno accanto a lui, mi piazzava sotto al naso una spessa fetta di carne e mi faceva vedere come tagliarla, i pezzi erano grandi, troppo, ma era l'unico modo per non farmi tagliare le dita, poi lui o mia madre o mio padre li ripassavano e li trasferivano nella grande madia.
-Chi misura la carne dosa anche il sale. Stesso pugno, stessa unità di misura.
E ancora oggi che il nonno non c'è più, non esistono proporzioni né calcoli matematici. Chi conta le manciate di carne a due mani, dosa con un pugno di sale, senza sbagliare.
-Chi misura la carne dosa anche il sale. Stesso pugno, stessa unità di misura.
E ancora oggi che il nonno non c'è più, non esistono proporzioni né calcoli matematici. Chi conta le manciate di carne a due mani, dosa con un pugno di sale, senza sbagliare.
A pochi giorni da Natale guardo il cielo grigio e ascolto ancora mia madre.
- Magari arriva la neve, ricordi quando siamo rimasti senza acqua perché si era ghiacciata nei tubi e il cancello di casa era murato dai cumuli? Avevamo l'elettricità, per fortuna, e mangiavamo la carne tagliata a listarelle con peperoncino e olive nere.
Tu la chiamavi la carne a salamino.
Il telefono e la percezione di una vicinanza fittizia.
- Magari arriva la neve, ricordi quando siamo rimasti senza acqua perché si era ghiacciata nei tubi e il cancello di casa era murato dai cumuli? Avevamo l'elettricità, per fortuna, e mangiavamo la carne tagliata a listarelle con peperoncino e olive nere.
Tu la chiamavi la carne a salamino.
Il telefono e la percezione di una vicinanza fittizia.
-Ti ricordi, Silvy, quando sei scappata fuori con il cucchiaio da portata perché volevi aiutare papà a spalare la neve? Com’era arrabbiato quel giorno, quando ti ha visto arrivare con me dietro che gesticolavo con il cappello e la sciarpa di lana, però, ha smesso all’istante d’imprecare contro il tempo e si è illuminato di un sorriso che solo un padre innamorato riesce a fare. Come eravamo giovani, com’era bello vedere il nostro futuro nel vostro sguardo e nei vostri passi traballanti, sono volati questi anni, Silvy, siamo stati fortunati, forse tu non ricordi le nevicate di questo angolo di mondo, e la galaverna, la galaverna la ricordi, Silvy?
Oh, mamma, come posso dimenticare il mio angolo incantato, ero la Principessa di papà, la mamma delle mie bambole e la regina dell’inverno. Vivevo in un paesaggio glaciale. Gli alberi con i rami spogli erano rivestiti di un ghiaccio color diamante così magico da sentirsi invincibili.
Con la galaverna non si usciva per tanto tempo quanto con la neve, il paesaggio si lasciava ammirare dai vetri appannati della finestra della cucina, rigido e austero, mentre tu, mamma, spuntavi con i calzettoni pesanti fatti dalla nonna con gli scarti della lana dei maglioni, sì, quelli che pungevano i piedi ed erano fatti di tanti colori diversi che Missoni levati.
-Chissà, Silvy, se farà la neve a Natale.
Mentre un velo d’incertezza incrina le sue parole, mentre chiede a mio padre di aprire le persiane della sala, mentre abbassa di un tono la voce, quando lui si allontana, mia mamma mi sussurra che loro staranno buoni buoni anche soli,” faremo Natale un’altra volta”.
Mentre un velo d’incertezza incrina le sue parole, mentre chiede a mio padre di aprire le persiane della sala, mentre abbassa di un tono la voce, quando lui si allontana, mia mamma mi sussurra che loro staranno buoni buoni anche soli,” faremo Natale un’altra volta”.
Ma io ricordo la videochiamata di qualche mattina fa, ricordo mio padre, il suo sguardo rivolto altrove quando mia mamma diceva la stessa cosa, quando in lei vedevo la forza interiore fare a pugni con la mano che tremava versando il caffè, in papà vedevo la paura e la rassegnazione di un uomo con il domani incerto, e le aspettative alte.
Chissà se a Natale nevicherà, chissà Se Natale.