martedì 30 luglio 2013

Il viaggio di un Poeta

Siamo tutti scrittori con una tastiera sotto le dita.

Anche un bambino di 18 mesi che, sgambettando felice, preme più volte con le manine paffute, mentre sul monitor appaiono righe di "ncdvgtyvevmbrje 8-ààà90  tfffff9mfcìms,"a modo suo, scrive.

L'esigenza di mettere nero su bianco nasce da molte situazioni, non per tutti uguali.
L'esigenza di chi legge, varia dal ripieno sotto la corazza, dalla fame di conoscenza, curiosità o, semplicemente, noia allo stato puro.
Per lettura intendo ogni cosa. Dal libro al manifesto pubblicitario, e non fate quelle facce,  a cinque anni mi esercitavo a leggere così, sillabando i manifesti pubblicitari.

Chi scrive riesce in qualche modo a creare un filo diretto con sé, spesso, si sente il bisogno di dare vita a emozioni contrastanti per guardarle bene negli occhi, successivamente, per avere in qualche modo "detto" qualcosa che non si ha il coraggio di esprimere a voce, per dirlo a qualcuno o a nessuno in particolare, se non a un'idea che ancora è astratta, non ha connotati precisi, un'ombra che abbiamo creato e che ci ascolta sempre, magari è stupido, magari è un'àncora, per te che lo hai scritto e per chi lo ha letto.

Chi scrive cose allegre e riesce a strappare sempre un sorriso agli altri, non è detto che sia un buffone o un burlone. Mi piace pensare alla positività delle persone, in questo caso, a una grande generosità, ma non posso credere che una persona così sia un giullare 24 ore su 24, del resto, una o più frasi scritte, possono fermare un momento, come lo scorcio catturato da una macchina fotografica, una nicchia che si scava nella roccia o una finestra sul cielo. Ma, oltre l'occhio del fotografo, cosa c'era?

Amo scrivere e leggere, sono onnivora nella lettura, ho libri di tutti i tipi e leggo pensieri di tutti i tipi, apprezzo gli stili diversi di autori più o meno conosciuti e, come detto qualche giorno fa sul post dedicato al mio modo di "vivere" e usare un Social Network, anche su Twitter seguo diverse linee di pensiero.

La libertà di scrittura esiste, ed è sacrosanta, almeno fin quando esisterà la libertà di lettura. Se mi obbligassero a comprare un libro di Vespa, non entrerei mai in una libreria, la stessa cosa per Twitter. Se fossi obbligata a leggere argomenti e persone, per me, poco interessanti, chiuderei l'account.

Per alcuni versi, siamo tutti un po' masochisti, chi guarda programmi tv trash per poterli criticare negativamente, ma con intelligenza e coinvolgendo gli altri, chi la partita dicendo che in tv danno sempre e solo sport e chi sfoglia album di fotografie pur odiando gatti e pennuti da cortile.
Poi, c'è chi legge i "Poeti", detestandoli personalmente (neanche li avessero trovati a letto con la moglie o il marito, magari è così e io lo ignoro) chi ha scelto una linea di scrittura di un certo tipo. Senza sapere che spendono, in questo caso tempo prezioso e il tempo lo è davvero prezioso, lasciatevelo dire, uscendo da ogni libreria con quel libro di Vespa in mano. 

Non sono qui a difendere una o l'altra fazione, penso che non ce ne sia bisogno e so che le persone intelligenti continuano a testa alta, però io non capisco davvero la necessità di cucire una stella addosso alle gente, perché si sta facendo questo, e l'uso di un termine come "Poeta" con accezione negativa, è discriminazione allo stato puro.

Ho letto stralci di conversazione tra persone a favore delle frasi romantiche, con gente che rispondeva "sono arroganti", e io seguo questi "arroganti", vorrei capire se l'arroganza sia celata in un termine più ricercato o magari nel coraggio di scrivere la parola "Amore" senza perdere la propria personalità, se nell'ottenere consensi, oppure se l'arroganza sia sotto il coraggio di comprare libri degli autori che preferiscono, senza uscire ogni volta dalla libreria con Vespa in mano. Mi domando se l'arroganza non sia di Vespa stesso, che magari non sarà mai letto dai "Poeti", ma da altre persone, c'è posto per tutti in libreria, e Vespa ha venduto, e allora, se i "Poeti" da domani cucissero addosso al resto del pianeta una bella coppia di "palle" intese come "coglioni", cosa succederebbe? Non sarebbe bello, però, le persone intelligenti non discriminano, cambiano strada e continuano il loro percorso, se fosse successo questo, avrei scritto lo stesso post, orientata verso chi ama cazzeggiare in modo diverso, e ne seguo molti che lo fanno egregiamente. Poi, se vogliamo giocare con le parole, dico anche che il termine "coglione" può avere accezione positiva, se lo dicessi a un amico che mi ha fatto ridere a crepapelle con una battuta idiota, ma basta questo per arrampicarsi sugli specchi?

Inizio a pensare che spesso si vada a traino, usando gli altri per essere noi, ma se vi attaccate alla giacca di una persona e pesate, prima o poi, la persona, se la toglierà quella giacca, lasciandovi per strada a mangiare polvere e a inveire, con chiunque passi, contro qualcosa che non si conosce. Qualche pellegrino con, a sua volta, una giacca attaccata ai denti vi ascolterà, così il viaggio sarà meno triste in gruppo, intanto, gli altri, saranno a arrivati a destinazione, con un libro scelto tra centinaia, il sorriso sulle labbra e il cuore più leggero. E la gente ammirerà quella stella cucita addosso e, magari, spargerà le sue punte, per far sentire forte e chiaro l'eco del coraggio di non avere abbandonato il proprio viaggio in giro per un mondo fatto di emozioni. Senza soldi in tasca, con il vento sulla pelle bruciata dal sole. Vagabondi.

In questo post non sono stati maltrattati animali né insetti pungenti.

"Un giorno in casa di un grande Poeta trovò dei ragazzi che parlavan di pace, di colpo capì che era quella la meta che aveva raggiunto per esser felice. ( da "Il viaggio di un poeta", I Dik Dik)"



Il sangue della notte

Di questa notte amo lo sguardo fiero.
La notte è audace, complice la tenebra che nasconde l'imbarazzo di sguardi che divorano.
La notte è una Signora dai lunghi capelli di seta e le movenze di una pantera.
Di notte il silenzio ha una voce bassa che ti accarezza l'anima, e ti lasci andare con i sensi tesi.
Della notte amo le premesse.
La notte stringe nella mano una rosa, facendo colare la calda oscurità lungo la pelle candida dell'innocenza.
La notte ti affronta a mani nude, spògliati.

È di notte che mi spoglio davvero di ogni maschera e fardello. Una vecchia amica che un tempo ho combattuto senza armi, fino a essere atterrata. Ci siamo guardate bene in faccia, occhi negli occhi, entrambe con il fiatone, non mollava la presa, fino a farmi chiudere gli occhi, sconfitta. È stato allora che, mentre aspettavo il colpo di grazia,  è arrivata una carezza, e ho sentito il peso addosso diminuire.
Abbiamo bevuto insieme birra e caffè, fumato e sorriso.
Non sei in confidenza con qualcuno finché non ti vede piangere. Non abbiamo più segreti la notte e io.
Mi teneva la mano per non farmi tremare, restandomi accanto, quando mancava l'aria e tutto diventava buio, quello sbagliato, quello freddo. Il buio che ti dilania.
Ho visto la notte triste, alle prime luci dell'alba, allontanarsi fino  dissolversi, come un amante onirico al risveglio, e il giorno era distratto, troppo acceso per occhi stanchi ed arrossati. La sua luce m'infastidiva, così come il suo rumore. Allora ho cercato la notte negli angoli più nascosti, evocandola al buio  di una stanza e al silenzio della mia voce. Si faceva attendere, ma alla fine arrivava sempre, ed io non avevo più paura, perché di notte la gente non esce e non ti cerca. Tornavo a vivere, senza maschera, con la musica nelle orecchie e il blu nelle vene, sotto la pelle inchiostro a fiumi, con la notte che stringeva la rosa e sorrideva, sorrideva e mi colorava di vita, fino a farmi addormentare di vita, per svegliarmi un attimo prima che svanisse, e salutarla.
Adesso vado a dormire, colorata di vita, mentre la notte stringe quella rosa più forte del solito. Ci fosse la luna colorerebbe anche lei. Vado a dormire, perché l'ho promesso a questa notte, e lei non se ne andrà senza svegliarmi con un bacio, per svanire lasciandomi il suo sorriso e la promessa di tornare.

lunedì 29 luglio 2013

Col senno del Mai

"Se non fossi passata di lì, forse/Se avessi risposto un'altra cosa, magari/Se avessi fatto due conti prima/..."
Se, se e se.
"Se mia nonna avesse avuto le ruote, sarebbe stata una carriola."
Le cose accadono con un gusto perverso.
Ogni Mai diventa una cucchiaiata di sabbia che mangi, la senti sotto i denti e in gola che ti strozza, e mentre ingoi pensi "Mai"
E, qualche volta, anche "Se".
Riconosco i maestrini, giudici e buonisti; vi vedo con il dito puntato a dire "io no, io mai, non esiste" già, su quel pulpito c'ero anch'io, ma sono scesa e mi sono ricreduta.
Il mai non esiste, perché la vita è la puttana che evitavi pensando "io mai", e, alla fine, te la sei trombata.
Chi dice Mai è lo stesso che dice "Meglio un rimorso che un rimpianto" ma la teoria fa a pugni con la pratica, perché non si è mai pronti a rimpiangere e neppure a recriminare. Non si è pronti a niente di quello che gli altri dicono, pensando di sapere; perché la gente non sa proprio niente, finché non sbatte la faccia di fronte a una promessa.
Indimenticabile.
E non era una bugia. E non rimpiangi, ma vorresti dimenticare, anche se poi ti perderesti qualcosa che invece tieni stretto in silenzio.
La gente resta sul pulpito per non dover scegliere, per poter additare chi è sceso, ravvedendosi, chi ha avuto il coraggio di non rimpiangere, anche se una volta diceva Mai, e oggi pensa ai Se.
Se fossi vetro sarei infrangibile. come una promessa.
Ma anche il vetro infrangibile si spacca, quando succede va in mille pezzi, minuscole schegge che si sparpagliano ovunque. Come le promesse, quando ne rompi una trovi eco di sillabe in ogni poro della pelle, ma sei sulla terra e non su quel fottuto pulpito, lì sotto puoi anche rilassarti e concentrarti su tutto quel che non rimpiangi, ricordandolo.



domenica 28 luglio 2013

Estati diverse

Chi l'avrebbe mai detto che, tanti anni dopo, sarei diventata un manicaretto per le zanzare sbuffando per il caldo, mentre il paese è illuminato a festa e le signore a braccetto dei loro mariti sfoggiano un sorriso di plastica e i sandali buoni.
In tanti anni che abito qui, ieri sera è stata forse la terza volta che sono uscita fare due passi. In genere mi sposto altrove o sto a casa.
Abito in un paese dove tutti ci conosciamo di vista ma nessuno sa come si chiami l'altra persona. O forse sono solo io a ignorare questa cosa degli altri.
"La signora bionda che porta il cane a pascolare, la figlia di quella che ha i baffi come un moschettiere, quella che se ti ferma non ti molla più, quello che si maneggia sempre il pacco quando butta a spazzatura e ti guarda come se dovesse spogliarti, quello che se non scappi prima ti dice che tempo faceva nella Pasqua del 1972" cose così; ma ci scambiamo sorrisi di circostanza e saluti cordiali, come se sapessimo anche i nostri nomi. Distinguo il vicinato da caratteristiche che non mi sono mai resa conto di aver catalogato in tutto questo tempo.

Eppure io ricordo estati diverse. Quelle fatte di musica, di capelli ancora bagnati e lucidi tenuti fermi da una fascia rossa, con la pelle lucida dalla nivea passata accuratamente dopo la doccia della sera, per far risaltare l'abbronzatura. Le estati che ricordo avevano l'appuntamento sotto casa la sera, con l'orologio alla mano, perché se tardavo non c'era un seconda volta, ed era una concessione uscire la sera a sedici anni, ma in villeggiatura anche i miei si rilassavano e diventavano più permissivi, anche se papà dopo teneva il broncio per un'oretta.

Durante il giorno arrivavo in spiaggia con i miei e cercavo subito la postazione ideale che mettesse  a tacere tutti. Mia madre che "voglio averti sottocchio, non sparire" e io che "meglio non pensino che sono ancora piccola e vado al mare con i genitori", anche se poi eravamo quasi tutti villeggianti con le famiglie al seguito, piccole grandi donne atteggiate a qualcosa che non esisteva. Non in quel periodo e non a sedici anni.

Le estati che ricordo con un sorriso sono quelle che mi facevano spendere i soldi del gelato nel jukebox,  per ascoltare il tormentone del momento ancora una volta, ancora e ancora, fino a quando il titolare del chiosco, quando mi vedeva arrivare, lasciava scivolare la moneta e offriva quel giro di note, allora prendevo un gelato e mi sedevo con i piedi sulla ringhiera e lo sguardo apparentemente rivolto al mare, in realtà osservavo i ragazzi che giocavano a calcetto e non mi perdevo neanche una battuta o un'occhiata che buttavano ogni volta che qualcuno segnava o parava. Pavoni in erba.

Di quelle estati ricordo anche il gusto di poter mangiare liberamente un cornetto (rigorosamente Algida) o un calippo (frizzante alla cola), senza sentire battute stupide e senza atteggiarsi a Moana Pozzi, perché gustando un cornetto si sentiva l'estate addosso, ci si trasformava nella ragazza della pubblicità che divideva il cuore di panna con lui fino ad arrivare al bacio, non si pensava ad altro, era questione di immagini evocative differenti; ricordo la mia consapevolezza di avere le labbra arrossate dal freddo del ghiaccio, mi sentivo bella, non sensuale. Bella. Una malizia diversa, impartita senza volere da genitori più apprensivi. Eravamo piccole donne che arrossivano e facevano impazzire i ragazzi abbassando lo sguardo per pochi secondi per poi sfidarli in una gara di tuffi, sperando che ti prendessero in braccio per buttarti in acqua con l'inganno, e sì, un po' di gallinaio c'era, ma le risate genuine rivelavano sempre il lato bambino che oggi si perde già a tredici anni. E ci cascavano, una volta, e  nessuno dei due veniva ingannato, erano ruoli studiati a tavolino senza troppi schemi, da entrambe le parti.

Di quelle estati restano bigliettini scoloriti di numeri telefonici e indirizzi, usati per un po' e poi persi chissà dove, in qualche cassetto della memoria che oggi ho aperto ripensando a quanto sia diversa l'estate, adesso, o forse sono io che trovo il cornetto Algida meno buono e non so ancora quale sia il tormentone musicale dell'estate 2013, e neanche quella precedente e l'altra ancora, e poi ancora e ancora.



venerdì 26 luglio 2013

Un angolo di cielo

Questa notte il cielo è in restauro, coperto da una coltre di nuvole si lascia sistemare, e gli addetti ai lavori sono occhi che dipingono la notte come meglio credono.
Ho messo una panchina in quell'angolo lassù, dietro la stella, di fronte alla luna. Quante storie affidate alla mia mente, brandelli di ciò che è stato mescolati a ciò che vorrei, sgranocchiando crackers salati e bevendo caffè. Intanto il buio si appoggia leggero sulle spalle, sento il suo profumo, mentre continuo a disegnare lineamenti che le dita non vogliono più tracciare.
Troppo sfocato questo "chi sei?" e i tempi in cui tutto sembrava giusto e familiare, fanno parte del cielo prima del restauro.
O forse eri tu che mi prendevi la mano e la portavi sul tuo viso, e non avevo paura di seguirne i contorni.

Soffio su questo angolo per curiosare cosa c'è sotto, ma vedo ancora cielo vuoto, libero da stelle; anche la luna si è stufata di sentirsi dire "sei bella", intanto nessuno di noi si è avvicinato abbastanza da lasciarsi accarezzare il profilo del volto, adesso, è andata a nascondersi, perché non crede più alle adulazioni, non se mentre guardiamo lei contiamo anche le stelle.

giovedì 25 luglio 2013

Sotto il pensiero, Twitter

Viviamo nell'era dei Social Network, i tempi in cui "Se non hai un profilo Twitter, se non sei su Facebook, o, in ogni buco della rete" sei nessuno.
Del resto, anche quando ero più giovane si seguiva qualche tendenza, addirittura si mentiva sul negozio dove avevamo acquistato gli stivali. Stessa marca e modello, ma se non li avevi presi da Palma in via San Luca, a circa 20.000 Lire di più, erano meno "IN".
Non c'erano i cellulari e dare il numero di casa era uno sport estremo, più che altro quando squillava il telefono e dovevi fare uno scatto da campionessa dalla sedia per precipitarti a rispondere prima che arrivasse alla cornetta uno dei tuoi genitori, per non parlare delle risposte a monosillabi o i bisbigli per non farsi sentire. Eri salva solo se avevi avvisato la mamma di avere dato il numero a un ragazzo che ti piaceva "un po'", quindi potevi lasciarti andare anche con qualche risatina civettuola, ma con parsimonia, perché erano i tempi in cui ci si vergognava di guardare un film con i tuoi genitori, durante la scena del bacio.

Arrivo da un periodo in cui avere la fotografia di un ragazzo che ti piaceva era una cosa secondaria; perché le persone le incontravi in piazza, sulle panchine o in spiaggia.
A volte le incontravi anche in discoteca, quando ci si andava di nascosto, ma poi la puzza di fumo impregnata nei capelli, nei vestiti e sulla pelle, rivelava la tua malefatta e scattava il castigo, per la bugia raccontata e per la disubbidienza.
Ma erano quelli i posti dove potevi socializzare, quando non eri  scuola, e, come accade sempre in tutte le compagnie, c'era di tutto un po'.
Chi si divertiva, chi aveva sempre qualcosa da raccontare, chi ascoltava, chi si vantava, chi si metteva in mostra, chi parlava con tutti e chi con pochi. C'era anche chi rompeva le palle a tutti, con due o tre spalle di supporto, che in genere sparivano quando capivano che la negatività non paga, quindi, il rompipalle di turno restava solo e, a volte, si adattava all'ambiente e si scopriva che non eravamo poi così male, oppure spariva, facendo spallucce, come una volpe con l'acquolina in bocca.
Erano locali per tutti, si poteva scegliere se continuare ad entrarci o cambiare Bar, se divertirsi o lamentarsi con l'amica in un angolo guardando gli altri ridere, ci si guardava negli occhi e ci capivamo senza parlare, benedetti silenzi complici.
Non ci facevamo mancare niente, c'erano anche le persone vestite meglio, con la moto più figa, con un sacco di ragazze e ragazzi che li idolatravano e ridevano a ogni battuta, alcune erano carine, altre un po' meno, ma le pecore c'erano anche prima. Mai estinte quelle.
È capitato che detestassi alcune persone a pelle, perché sempre circondate e amate da tutti, ho giudicato anche io senza sapere e senza conoscere, poi, però, un ragazzo di questi mi parlò, una volta, due e tre. Non era in mezzo agli altri e non era così antipatico. Capii che ero stata affrettata e che non lo conoscevo affatto. I suoi amici non erano pecore, erano persone che avevano conosciuto e riconosciuto i pregi di questo ragazzo, entri a far parte del gruppo, che non era un gruppo chiuso, era sempre aperto a tutti, ma c'erano persone che preferivano restare su altre poltrone a guardare in cagnesco e criticare, buttando fango su tutti. Anche su me.
Poi esistevano anche le persone antipatiche a pelle e di fatto. A volte, l'istinto non tradisce.

Nell'era dei Social Network le cose non sono cambiate molto.
La mia iscrizione a Twitter risale a più di un anno e mezzo fa, e, come molte altre persone, ho lasciato l'account dopo poche settimane, non riuscivo a capire come funzionasse. I personaggi della tv non rispondono e ancora meno a un uovo con 10 follower, mi annoiavo a seguire i loro resoconti di cene, gossip e cavolate di cui a me non importava un fico secco. Qualche persona "normale" mi seguiva, ma, ahimè, ero incappata in quelli che per aumentare il numero del contatore, seguono chiunque si iscriva, senza leggerti neppure una volta, a meno che tu non li menzioni, allora continueranno a ignorarti, ma almeno sai che ti hanno letto e puoi pensare liberamente "fottiti", senza sentirti in colpa. Campioni mondiali di "Ignora questa che non ha comprato gli stivali da Palma in Via San Luca", anche se non lo ammetteranno mai.

Eppure non smetti di seguirli, perché ti senti lusingata, all'inizio, quando tu che hai pochissimo seguito, hai scritto qualcosina, ti ritrovi a essere seguita da gente che viene letta da migliaia di persone, credi davvero che tutti, prima di iniziare a seguirti, leggano cosa e come scrivi. Almeno, io,  ci credevo.

Di dinamiche su Twitter ne sono state scritte tantissime, descrizioni dell'utente tipico di Twitter, più o meno dettagliate, schemi ben fatti; tutte perfette e corrispondenti alla realtà dell'utente medio della rete, dal navigatore solitario all'allegra compagnia d'immersioni.
Oggi vorrei scrivere le mie dinamiche, come vivo personalmente il Social Network, i miei criteri sulla scelta di chi seguire o meno, cosa mi piace e cosa no delle ali di questo uccellino azzurro.

L'inizio è simile per tutti, segui i Personaggi della tv, qualche quotidiano per le notizie e qualche conoscente della vita reale, pochi, e facendo bene attenzione che non siano persone che abbiano a che fare con te sul piano lavorativo, per poter evadere dai pesi di ogni giorno senza seccature o battutine sul tuo ultimo pensiero.

Si parla molto di maschere, di profili che scelgono di mettere il proprio nome e cognome, fotografia e magari anche il codice fiscale, già che ci siamo.
Per circa nove mesi ho tenuto la mia fotografia sul profilo e la città di provenienza, il mio cognome l'ho evitato unicamente per quanto scritto sopra. Non volevo troppa gente che conosco tra i piedi, perché per me indossare una maschera non dipende dalla scelta di metterci i propri dati anagrafici o meno, bensì, dalla scelta di scrivere realmente tutto quello che mi passa per la testa. Deliri inclusi, e forse sono troppo chiusa per riuscire a farlo di fronte a persone che potrebbero chiedermi davanti a un caffè "perché hai scritto questo?"
A distanza di tempo, una persona mi ha fatto vedere un'immagine che associava al mio modo di essere, un po' dama e un po' irriverente, genere Steampunk, che adoro, con alcuni tratti in comune.
Appena vista la pic ho pensato che, dopo tanto tempo, fosse giunto il momento di metterci anche l'anima, la faccia l'avevano già vista tutti quelli che erano presenti fin dai miei esordi (e che ringrazio, per esserci ancora).

Ho tolto la città di provenienza per non distrarre le persone. Si tende sempre a cadere sul personale con affermazioni inutili tipo "Ah ma siamo vicini, ecc." e a me non interessano i km che mi separano da una mente, perché non esistono se si entra in sintonia con pensieri che trasmettono qualcosa.
Cambiata la mia biografia, consigliato da una simpaticissima ragazza che, leggendo un mio tweet, mi ha detto che sarebbe una bio perfetta, ho continuato a cinguettare, esattamente come prima.

Cosa mi piace di Twitter? Poter essere me stessa. Ognuno fa come crede, c'è chi pensa di poter entrare in rete e scrivere tutto quello che gli pare, in parte è vero, possiamo, questo io lo faccio già dal primo giorno, ma quello che mi pare non è andare a rompere le palle agli altri.
Siamo tutti navigatori solitari che incrociano altre imbarcazioni, facciamo un cenno di saluto e proseguiamo il viaggio. Parlando da soli, consapevoli del fatto che gli altri ascoltino; e questo, diciamolo, a noi piace.
Amo scrivere, sono piuttosto silenziosa come persona e, come spesso accade a chi parla malvolentieri, penso un sacco e scrivo. Scrivo e penso, ok, a volte scrivo anche senza pensare e quando rileggo mi dico che avrei potuto evitare, ma la spontaneità esiste anche fuori dal contesto vocale, e sono molto istintiva. Anche nella scelta delle persone.

Di Twitter amo la sintesi, e detto da una che per scrivere "Ciao" parte dalle origini del saluto, è tutto un programma. Scrivere su Twitter è, ogni giorno, una sfida. Riuscire a esprimere un concetto in 140 caratteri non è facile, non per me, infatti mi sto rifacendo alla grande con questo post che forse sarà stato abbandonato alla ventesima riga, e tu non barare. so che ti sei fermato alla quinta.

Di Twitter mi piacciono gli stili delle persone. Non sono una che interagisce tantissimo, non di mia iniziativa. Questo perché ho sempre un po' di remore e, paradossalmente, con le persone che mi piacciono di più, tendo a interagire meno. Le persone che preferisco sono quelle che scrivono, che mettono sul vassoio una fresca spremuta di pensieri, di anima, di cuore, di divertimento. Amo la positività.
Ancora devo scrollarmi le critiche che ho sempre letto; chi si lamenta di chi interagisce, chi di chi non lo fa, chi stellina e chi retwitta troppo. Chi poco. È chiaro che più menti non raggiungeranno mai un accordo unanime. Alla fine si cerca di fare un abito su misura per stare comodi.

Mi metto nei panni di una persona appena iscritta, uno degli errori ricorrenti è dimenticare che tutti abbiamo iniziato da zero, io non sapevo dove sbattere la testa, e, ogni tanto, ancora oggi sbaglio muro.

Interagisco poco, ho paura d'infastidire chi scrive, di spezzare il legame che si è creato anche solo per 5 secondi durante la lettura. Poi ricordo che è un Social Network, imposto una risposta, ma era così bello quel tweet che cancello, per non imbrattarlo. A volte riesco a vincere le seghe mentali e invio.
Amo chi è al di sopra delle polemiche, chi continua a fare come gli pare e non corre a buttarsi nella mischia. Ho visto più danni creati da chi fomenta litigi che da prostitute nude in chiesa.
Ho la fortuna di seguire persone che non hanno sicuramente voglia di litigare su Twitter, vi garantisco che esiste anche chi si diverte e sa stare tra la gente senza rompere nulla. Spesso leggo che qualcuno sta litigando, poi vedo che la mia tl è tranquilla e penso sempre più di avere fatto le scelte giuste. Altre volte noto che alcune persone generalmente tranquille, vengono prese di mira, come a scuola con i bulli, e questo m'infastidisce e non poco.

Quando una persona inizia a seguirmi, la prima cosa che faccio è leggere la sua Bio. Se non la trovo, un punto a sfavore. Poi, passo alla home scavalcando tutte le interazioni, a caccia dello stile, dei pensieri e degli argomenti preferiti. Se trovo solo "buongiorno" e "buonanotte", non seguirò mai quella persona. Mi piace leggere. Rispetto chi usa Twitter solo per "chattare" ma è anche vero che per interagire non serve il mio follow, rispondo a chi mi scrive, se il discorso si protrae troppo a lungo, dopo un po' mi annoio, anche perché, spesso, apro twitter per scrivere qualcosa, se devo usare tutto il tempo per rispondere o specificare cose omesse in 140 caratteri, ecco che mi sento minare la mia libertà, quindi evito come la peste i lamentoni del "ma non rispondi mai, te la tiri fai la tuistar", posso garantire che inizio a capire molte persone che all'inizio ho giudicato male anche io.

Non amo seguire chi scrive solo ed esclusivamente citazioni, parliamoci chiaro, quelle si trovano ovunque, se ne trovano anche di meno usurate. Penso che, anche trovare aforismi meno conosciuti sia una dote. Ma una home di citazioni mi dà i brividi. Effetto cimitero. Amo i pensieri intrappolati, vivi, quelli che lottano per uscire dalle menti, ma poi ce la fanno. Zoppicanti e forse un po' opachi. Ma vivi.

Non amo i paranoici, se ho il dubbio che una persona possa avercela con me, chiedo in dm, non faccio un tweet in cui annuncio a tutto il mondo che "forse la persona in questione non mi considera perché..."(seguono le congetture più assurde), anche perché, se è vero che esiste gente che si nutre di polemiche e gossip, esiste anche chi, alla lunga, si rompe di leggere sempre quei "forse ti sono antipatico/a". A volte le menzioni si perdono, altre si leggono di corsa, ripromettendosi di rispondere successivamente e poi ci si dimentica, altre ancora (e mi capita spesso) non so davvero cosa cavolo dire a certe affermazioni (colpa mia), quindi stellino e scappo a lavorare.

La mia TL è piuttosto varia. Oltre ai "simili a me" (non quelli consigliati da twitter), seguo anche i miei opposti. Faccio un esempio, scrivo pochissimo di politica, a parte una battuta volante sul "caso del giorno", seguo quelli che per me sono "il meglio" nel fare satira o parlare seriamente di politica. Ho un senso dell'umorismo piuttosto noir, amo leggere persone che mi facciano ridere con scemenze che a me non verrebbero mai in mente, non perché io sia più furba, ma perché è così, quindi cerco di prendere l'eccellenza, secondo i miei gusti personali, da ogni stile o argomento. Idem per le frasi romantiche, forse sono più orientata verso queste, e non mi piacciono i pensieri letti e riletti, mi piace l'immediatezza, anche nelle cose semplici.

Non amo l'invadenza, neanche su Twitter. Leggo spesso persone che appena un utente scrive un tweet, sono subito con il fiato sul collo,  a fare di un pensiero dieci versioni o, peggio, a spaccare il capello in quattro.

Puffo Quattrocchi credo sia stato bandito dal villaggio, figuriamoci dalla mia TL.
Non si può sempre criticare la minestra degli altri, senza accendere mai un fornello (AutoCit.).

Non amo chi usa toni piuttosto spinti o coloriti, con me. Questo è uno degli errori ricorrenti. Non sono una bacchettona, anzi, scherzo e rido con tutti. Con alcuni un po' di più, unicamente perché c'è più confidenza, ci si legge da più tempo, ed è assodato che se rispondessi a tono a una menzione un po' più maliziosa, non fraintenderebbero mai. Serve più cervello per fare una battuta un po' più colorita che risolvere un'espressione algebrica (AutoCit.). Il limite dell'umorismo va a braccetto con quello del buongusto. Se non mi hai mai scritto, e due interazioni su due ci metti malizia, ti sego le gambe sul nascere.

Ogni persona è libera di scrivere quello che vuole, potrei anche scrivere solo di film, di calcio, di politica, di barzellette o di moda, ma, se interagisco con qualcuno, tengo presente che sono sulla soglia di casa sua, quindi mi pulisco i piedi sullo zerbino prima, e, soprattutto, evito di cercare a tutti i costi d'imporre il mio senso a un pensiero che non ho scritto io, soprattutto quando l'autore mi ha già detto tre volte che ho frainteso il significato.
Basta, dai, mascherare l'invadenza dietro la parola "opinione".

Non amo chi risponde alle domande retoriche, chi fa domande personali quando su un profilo non sono indicate generalità, tipo la città di provenienza, penso sia questione di eleganza, mica segreti, solo che se non avete mai parlato con una persona e le chiedete subito qualcosa di personale, trovo sia fuori luogo.

Questi sono i miei punti di vista, da prendere come tali. Per me Twitter è un gioco, una valvola di sfogo, una birra al bar dove trovo facce sorridenti, la confidenza a tutti i costi mi fa venire l'orticaria, e posso assicurarvi che questo atteggiamento "simpatici a gomitate" non aiuta ad avere il follow back, anzi. Generalmente evito proprio per non avere probabili seccature in dm da persone con cui non ho mai avuto nulla da dire in tl.

Il Retweet fa piacere a tutti. Amo retwittare e sì, anche essere retwittati è bello, però, piuttosto una volta di meno, sapendo che quel pensiero è stato apprezzato. Più volte al giorno faccio il giro delle home di molte persone, stellino tutto ciò che mi piace, mentre leggo, un modo (a mio parere) carino per dire "ciao, sono passata a trovarti", e retwitto quello che voglio far leggere anche agli altri. Se devo offrire qualcosa, cerco sempre il meglio. Molte di queste persone mi retwittano meno, alcune spessissimo, altre mai. Ma a me non interessa. Il retweet non è merce di scambio, per me, e quando vedo una stellina, o un retweet, fatto da alcuni di loro, sorrido. So che hanno apprezzato davvero. Peggio del followback o unfollowback, c'è solo il retweetback. Anche su questo discorso sono stata fortunata, per questo insisto sul fatto di controllare bene tutto, prima di cliccare quel benedetto tasto "Segui".

UnfollowBack.
Un Follow non è un matrimonio, se esiste il divorzio nelle coppie, figuriamoci su Twitter.
Cerco sempre di leggere attentamente le home prima di seguire una persona, le sviste sono capitate e capitano anche a me.
Anche quando non do il follow back, tengo sempre d'occhio chi mi segue, spesso non ho tempo per leggere tutto, appena ho un attimo, capito su alcuni miei follower e gironzolo per le loro home, a caccia di qualcosa da leggere, e ho trovato sorprese bellissime, oltre a qualche svista.

Le sviste sono le persone che, inizialmente, avevano qualcosa che ha catturato la mia attenzione, e poi in tl li definisco i "fantasmi" o "zombie". Un tweet di lamentela ogni ora, tweet automatico not follow. me e niente altro. "Forse gli hanno hackerato l'account", penso. Aspetto, ché non tutti i giorni sono uguali, dopo un mese la decisione. Unfollow. Tanto non davano, non apprezzavano e non interagivano. Mai.
Il miracolo avviene entro cinque minuti. Lazzaro risorge e si accorge che non ci sei più. "Perché il defollow? Grazie, ovviamente defollowback". E il mio "sticazzi" fa il giro del pacifico su una zattera.
Poi leggi che si lamentano "ti defollowano senza alcun motivo". Beh, anche io ho preso degli unfollow da persone che mi piacevano. Sono ancora sulla mia tl, e ho pensato semplicemente che saranno capitate a causa di un retweet, senza avermi letto attentamente prima. Non si può piacere sempre, non a tutti e non PER sempre. Mettetevi in discussione prima di urlare "al gomblotto".
Ecco, questo non mi piace. Il defollow back non è nella mia politica, a meno che non sia un caso. Ti leggo in tl, mi rendo conto che non so neanche chi tu sia, leggo quello che hai scritto, non mi piace e smetto di seguirti. Poi, scopro che neanche tu mi seguivi, quindi, ognuno per la sua strada e caffè virtuale pagato. Oppure qualcosa non mi convince, si prende la palla al balzo quando ti accorgi dell'unfollow, raro, ma potrebbe succedere. L'importante è non farlo per ripicca, anche perché, per me che amo leggere, sarebbe come la storiella del marito che si taglia l'uccello per far dispetto alla mogie.

Ho scritto molto, troppo. Tante ancora le cose da dire, chiudo parlando dei numeri.

Non tutti gli utenti con numero di follower alto sono delle chicche, sono certa che esistano persone appena iscritte, con 5 follower, che potrebbero spaccare il sedere ai passeri, ebbene, la questione dei numeri su Twitter è importante, per quanto molti smentiscano questo fatto. Non è sempre sinonimo di qualità, ma è importante. Se un utente con 500 follower scrive un tweet sul suo orto, becca venti sticazzi, due risposte di approvazione e 3 stelline. Se lo scrive uno con 25.000 becca 20 risposte di approvazione, 35 retweet, e il resto della rete pensa "sticazzi". Ma non lo scriverà mai, a lui/lei.

Per chi inizia da zero, se volete il contatore alto, seguite chiunque; se volete fare le cose con calma, scrivete e fatevi conoscere con il vostro stile, interagite con discrezione. Ci metterete un po' di più. Ma chi vi ha seguito resterà, finché defollow non vi separi.

P.s. Ho scritto talmente tanto che non ho voglia di rileggermi. Scusate errori e/o sviste grammaticali. Ma ho preso in mano questo post in tempi diversi.















mercoledì 24 luglio 2013

Il colore delle emozioni

La rabbia è viola scuro; associo il suo odore a quello della gomma bruciata e il suo sapore al rabarbaro.
(Di rabbia ho vestito i miei occhi, appannati da specchi liquidi.)

La gioia è celeste chiaro; quando sono felice sento il profumo dei biscotti appena sfornati, assaporo  cannella, burro e vaniglia.
(Un sorriso che nasce dal cuore non ha fretta di arrivare alla labbra, ma sosta negli occhi.)

La gelosia è gialla. Si avverte l'odore di pioggia nell'aria, quell'odore un po' acre mescolato allo smog. In bocca l'amaro dell'erba gramigna.
(Con le spalle alzate e la testa alta fingo indifferenza, mentre in tasca le unghie premono forte.)

L'invidia è verde. Agrumi ammuffiti a rovinare l'aria. Cenere sul palato.
(Hai mascherato la viltà, ora il mostro ti divora.)

La passione è Blu. Colore intenso dalle decine di sfumature. Caldo in inverno, avvolgente come il velluto. Fresco in estate, come l'abbraccio del mare. Voluttuoso. Il profumo è quello degli spazi aperti, di pulito, dell'aria sana. Il sapore, quello del peccato "non commetterlo".
(Non ho paura, non è il freddo, è solo il desiderio di essere inghiottita dal tuo sguardo. Tremo perché non posso più aspettare.)

Da quando sono piccola faccio il gioco dei colori, odori e sapori associati agli stati d'animo, emozioni più o meno positive. Ogni situazione ne ha uno.

Di che colore è la paura?
Li racchiude tutti. Essa arriva in qualsiasi momento, senza avvisare. La paura è neutra; la riconosci quando ormai ti possiede.
(Indefinita, la guardi in faccia e dimentichi il suo volto. Ma non il suo abbraccio.)




mercoledì 17 luglio 2013

La sete

Siamo tutti l'oasi di qualcuno.

È che quando ci si ritrova nel deserto non si bada molto alla fonte, ci buttiamo nella prima pozza che capita, per placare l'arsura e per avvelenarci un po'.
E più bevi più ne vorresti, perché l'acqua è poca, quella è anche sporca, ma sei nel deserto e da lontano sembrava limpida, invitante, bevi, bevi e ti accorgi che è già finita, hai solo bagnato le labbra e la sete ti divora da dentro.
Sei talmente stanca che ti sdrai, accendi un'altra sigaretta e improvvisamente guardi il soffitto. Non c'è più cielo né sabbia. Sei in un letto sfatto e scalci via le lenzuola, serve aria, apri la finestra e il mondo sembra puntare il dito, allora la richiudi e cerchi qualcosa che faccia passare quella sete che ti sta bruciando in gola.

Siamo tutti il risveglio di qualcuno.

Dormi, mi ripeto, se non ci pensi tutto passa, anche le persone. Dormi, se chiudi gli occhi non vedi il vuoto. Dormi, nei sogni le oasi sono limpide e fresche. Dormi e ti disseterai.
Vigile, apro gli occhi e penso che una birra sarebbe la soluzione.
Faccio una doccia e lascio scorrere il peccato sulla pelle, apro la bocca e l'acqua si asciuga come un velo steso al sole. Un risveglio sbagliato, miraggio, più che oasi.

Siamo tutti il segreto di qualcuno.

Nascondimi, stringimi forte, non mi farai male. Sarebbe doloroso il contrario. Dissetami, ché le mie labbra sono bruciate da baci sbagliati. E fissi quel soffitto che diventa cielo, con due occhi in più, la mano accarezza la sabbia e non fai altro che pensare per avere.
Stringimi e facciamo che io riconoscevo le tue mani a occhi chiusi e tu respiravi il mio profumo maledicendolo qualche ora dopo.

Siamo tutti la sete di qualcuno.

Per tutte le ultime volte che "ancora dieci minuti" e non esistono gli orologi, tanto il tempo viene misurato in baci, ché non può durare più di una ventina di minuti, un bacio, mentre la luce esterna cambia intensità. Ma era un'ultima volta, non si può pretendere di spaccare il minuto, e dimentico la sete, dimentico il respiro che mescolo al mio profumo e spero solo che possa camminarti sotto la pelle, quando laverai via questo peccato, mentre osservi lo scarico libero e l'acqua limpida. Mentre in un altrove maledetto io mi abbraccerò osservando la sigaretta che brucia, forse avrà sete, allora la bacio e lascio che mi consumi la gola.
Il silenzio è complice di ogni fotogramma, ed è nel silenzio che si consumano i fardelli più pesanti, come sanno fare le donne adulte e gli uomini veri. Ma siamo tutti un po' bambini, quando si tratta di provare dolore, vorrei saperti sereno e dissetato, sono sempre stata brava a mentire a me stessa, in realtà, provo una perversa felicità al pensiero di te che maledici il mio profumo e che provi l'arsura della vera sete. Di quella che si prova solo una volta assaggiata l'acqua fresca e limpida. Non una fanghiglia scavata nel deserto.
Allora rivivi quell'ultimo bacio finito tra la sabbia, le lenzuola o forse era il cielo, poco importa, è stato quando ci siamo dissetati.



domenica 14 luglio 2013

Notte amante mia

Una notte troppo buia questa. Unica fonte di luce il monitor e la luna è ancora troppo nascosta per illuminare questo cielo che ha deciso di non indossare neppure un stella.
Caffè e red bull scorrono nelle mie vene e non voglio fare quel che dovrei: dormire.
Il periodo più brutto della mia vita l'ho passato maledicendo la notte. Quando non chiudevo occhio, quando il letto era una prigione e di dormire non se ne parlava.
All'epoca avevo paura del pre-serale, iniziavo a bere camomilla dalle 19 e dopo le 15 neanche un caffè. Crollavo sulla poltrona e quando andavo a letto gli occhi si spalancavano, il soffitto mi guardava minaccioso e io contavo, ripassavo ogni ricordo, mi ripetevo di dormire, usavo anche l'imperativo, ma non funzionava. Aspettavo le prime luci dell'alba e mi alzavo. Non avevo nulla da perdere, a parte la luce del giorno.
Ricordo benissimo quando la notte diventò mia nemica, ma quella è un'altra storia molto triste, che non ho voglia di raccontare. Non stanotte.
Una volta sconfitti i mostri, o forse li ho solo chiusi nel ripostiglio, ho ricominciato a parlare con la notte, ad esserne complice. Ad amarla, come si fa con la più lussuriosa delle passioni.

Non esiste notte senza musica.
Non esiste notte senza ricordi.
Non esiste notte senza malinconia.
Non esiste notte senza sospiri.
Non esiste notte senza bisogni.

Come quando dici che le fate non esistono e ne secchi subito una. Ecco, io ho tutto e la mia notte esiste. La vivo, la brucio e l'assaporo.
Se non riesci a dormire, diventa amico della notte, riuscirà a farti trascorrere il tempo in fretta, e, quando sarà mattino, ne vorrai ancora un po', ma dovrai aspettare, perché la notte è puttana, si concede, ti fa impazzire e poi va via. Lasciandoti in quel letto sfatto con il desiderio di ricominciare. Ché il giorno, in fondo, è un po' troppo bacchettone.

mercoledì 10 luglio 2013

La scienza irrazionale

Da tantissimo tempo, scienza, costante ricerca e medicina hanno fatto e continuano a fare passi da gigante, per fortuna, considerando che una volta si moriva per un banale raffreddore, bruciavano le donne che possedevano un gatto (e non solo) e l'ignoranza popolare regnava sovrana. Anche se, oggi come oggi, non è che si sia estinta del tutto.
La scienza non perdona. Nero su bianco, o, come preferisco io, Blu su Bianco.
Troppe persone si sono affidate a ciarlatani muniti di bacchetta magica per vincere al totocalcio, per far tornare un calesse lontano centinaia di km e, addirittura, per guarire da malattie molto serie. Per far morire una persona, per far soffrire chi non ci vuole più, e tante altre nefandezze che, se fossimo state persone un po' più attente, sarebbero rimaste leggende sui libri di storia.
In tutto questo è intervenuto lo studio, la razionalità e l'intelligenza di umani che si sono prodigati anche per la causa degli stolti, e lo dico in maniera affettuosa, perché di fronte a certe truffe si sono rivelati matasse di dolore manipolate da bestie immonde, per mettere fine a questo scempio.
Ma.
Come un diserbante, che non riconosce l'erbaccia dalle primule, la razionalità, se non la si maneggia con cura, brucia tutto ciò che tocca. inclusa la magia buona, quella che non nuoce ma alimenta; quella che alleggerisce il fardello delle responsabilità o delle preoccupazioni.
Questo è un compito difficile, perché gli studiosi devono andare avanti per il nostro progresso, ma se un bambino ha paura del buio, non gli interessa sapere che nel buio non c'è il mostro, se lui lo percepisce.

Mi accendevano la luce e me la spegnevano. Due, tre volte, per farmi vedere che tutto era come prima. Inclusa Federica, la mia bambola. Era vicino a Nella, l'altra bambola, e nessun mostro le aveva toccate. Poi, morti dal sonno, i miei tornavano a dormire. Dopo avermi spento la luce.
Ma io sapevo che il mostro era furbo, mi avrebbe sorpresa durane il sonno e sapevo che stava attento a non farsi sorprendere da mamma e papà, sapevo che non avrebbe toccato neanche un pastello colorato. Lui voleva me.
Ogni sera la stessa storia e una volta accesa e spenta la luce, loro tornavano a letto, io piangevo, loro mi prendevano nel lettone o, quando erano stati più severi, era mia sorella che mi ospitava nel suo letto, purché dormissi e la finissi di frignare. Non avevo bisogno delle loro fottutissime prove Blu su Bianco, perché una bambina non conosce razionalità, se non la propria.
La soluzione a tutti i miei problemi arrivò dalla nonna. Lei sapeva sempre tutto.
Quando dormivo da lei non c'era nessun mostro nel buio. Nonna era vedova da tantissimi anni, non ho mai conosciuto suo marito, neanche mio zio ha conosciuto suo papà. Era molto piccolo quando lasciò la sua bellissima famiglia per un viaggio molto più lungo.
Nonna avrebbe dovuto chiamarsi Razionalità, visto che all'età di 40 anni, si è dovuta rimboccare le maniche e tirare su da sola 4 figli. La più grande, mia mamma che aveva solo 12 anni.
La nonna è sempre stata una donna molto pratica, una da "poche storie, oggi c'è questo, se vuoi aspettare qualcosa di meglio, lascialo pure lì", e le credevi, aspettavi che arrivasse qualcosa di più goloso, fino a quando la fame ti faceva apprezzare il suo menù, allora sorrideva e diceva "hai visto che è arrivato?" e si riferiva naturalmente all'appetito.
Il suo lettone era il rifugio anti-mostro migliore che avessi mai conosciuto.

Nonna aveva sempre una soluzione pratica, anche se, non proprio razionale.

Quella mattina mia madre stava parlando con lei, in realtà lo faceva con me, il tono era seccato e ripeteva piccole velate minacce alternate da "non c'è verso di chiudere occhio". Io giocavo, sentendomi in colpa e vergognandomi un po' con nonna, del resto di giorno dimenticavo il mostro, i fantasmi e le streghe. Con gli occhi bassi e le gote in fiamme, vestivo Nella, pettinavo Federica, sempre più lentamente, per non perdermi una parola di quella conversazione.
La nonna mi guardava, ma non riuscivo a capire se fosse arrabbiata anche lei o se stesse pensando a quanto fosse pisciasotto sua nipote. Dopo un po' di tempo, si avvicinò a me, prese in grembo Federica e si complimentò per la pettinatura della mia bambola.
Poi mi chiese, senza troppi giri di parole, se avessi mai visto il mostro in faccia.
Lei mi credeva.
Il suo tono era complice, nonna sapeva.
Scossi il capo per dire di no, e farfugliai poche parole.
"Ma c'è, io lo so."
Si alzò, andò a prendere la sua borsa, tornò da me con qualcosa in mano e, sempre in gran segretezza, mi diede una caramella all'anice.
La guardai e, mentre iniziavo a scartarla, mi bloccò.
"Ferma. Non mangiarla. Questa la tieni sul comodino, i mostri odiano il profumo dell'anice, scapperà e non tornerà mai più".
Ero incredula. La soluzione era davanti a me, e me l'aveva data la nonna.
Una caramella all'anice.
Quella notte misi il mio talismano sul comodino e, quando spensi la luce, mi accorsi che la camera era sicura. Il mostro era andato via, con grande sollievo dei miei genitori e mio.
La prova razionale era quella che mi avevano sempre fornito i miei. Blu su bianco: una stanza al buio, non cambia, ma la razionalità di una bambina è diversa. I mostri si nascondono e quando accendi la luce diventano invisibili.
La soluzione era un piccolo inganno. Una caramella all'anice, odore forte che i mostri detestano. Non faceva una piega.
Ancora oggi ho una passione per l'aroma dell'anice.

Ci sono cose che la scienza schiaccia, fortunatamente, ma sotto la grande pressa, se non si fa attenzione, ci resta anche la speranza riposta in una piccola, grande magia.


martedì 9 luglio 2013

Saltando si vola

Forse dovrei scrivere anche io una guida su cosa fare e cosa no, su come vestirsi, truccarsi, cosa mangiare e come. Per non tralasciare qualcosa e per entrare a fare parte del prefabbricato che a noi piace tanto.
Non posso farcela.
Io che all'ultimo momento mi tappo il naso, chiudo gli occhi e salto. A volte sbaglio atterraggio, e se forse avessi programmato un po' meglio la cosa non sarebbe successo, ma è più forte di me.
Vivo e cammino bendata. Il mio gioco preferito è mosca cieca, con il rischio di trovarmi un calzino spaiato, ma quando uso i calzini ho jeans e scarpe da tennis, non si vedono.
Vivo in un mondo monocromatico, ma è bellissimo guardarlo con i miei occhi, anche quando non lo è.
Salto.
Durante il volo penso a quanto io mi senta libera e solo dopo mi rendo conto di non aver programmato alcuna destinazione.
Salto.
L'atterraggio mi porta in un angolo in cui le persone sono tutte uguali e cerco quella diversità che possa farmi da spalla.
Se mi beccano sono perduta.
Una bellissima ragazza guarda i miei calzini, durate l'atterraggio si è spostata una gamba dei jeans. Mi sento nuda e colpevole; mi allontano.
Il clone della ragazza di prima mi dice che il blu s'intona con i miei capelli ma non con i miei occhi. Non riesco a parlare e penso solo che il Blu s'intoni con tutto, soprattutto con il mio stato d'animo. Che non è nero, grigio o colorato.
Non sono una ragazza solare, non sono triste e non sono uguale a loro.
Vorrei saltare ancora per atterrare da un'alta parte, ma sono a terra. Non mi resta che volare.

domenica 7 luglio 2013

Moviola di un sogno

Non esistono sogni di serie A e sogni di serie B.
Si gioca un campionato; si corre e rincorre quella palla, senza perderla di vista un attimo, braccati dalla parte bacchettona dell'inconscio, l'angioletto sul lato destro che ti dice che non devi, ma tu scarti e continui a correre, non passi la palla, ché è meglio non affidare agli altri il tuoi sogni.
arrivi davanti alla porta e guardi negli occhi il senso del dovere, lo sfidi, odiando quella posizione un po' scimmiesca, fai una finta e, quando si sposta un poco, ecco che tiri.

La stanza è in penombra, il blu della lampadina si sente sulla pelle chiara, quasi a sfiorarla. Non amo il buio e neanche la luce accecante, sorrido, ti sei ricordato. Blu, l'atmosfera perfetta per riuscire a guardarsi negli occhi sentendosi nudi nella giusta misura, anche quando indossi ancora i vestiti.
La presenza del tuo profumo, mescolato al mio, e penso che loro si stiano già toccando. Rabbrividisco e già so che mi stai guardando. So anche come.
Ogni cosa è perfetta, non c'è traccia delle mie paure nei tuoi occhi, ti riconosco in questa stanza e non penso ad altro se non alle tue mani, così grandi e familiari. Non c'è bisogno di parlare, chiudo gli occhi per un attimo e ti sento. Sento la pelle e quello sguardo che brucia addosso. Sento i brividi e le tue dita che li percorrono. Senza fretta.
Abbracciami.
E lo penso così forte che lo fai, mi stringi e svanisci, più non ti vedo più sento le tue braccia.

Rete.
Maledetto arbitro, gol annullato per fuorigioco. Ma ero in posizione perfetta, e ogni notte c'è la moviola.
Intanto, aspetto la partita di ritorno. Ogni notte è quella buona, forse, addirittura questa.
Continuo a giocare il mio campionato, nella penombra blu di quella stanza, nel profumo di quelle braccia.

sabato 6 luglio 2013

Gli occhi dei pensieri

Di quelle notti che dovrebbero durare giorni, tanto domani è sabato e si dorme, e premere la musica nelle orecchie per coprire il rumore dei tasti, nessuna distrazione dai pensieri, ché sono delicati alcuni di loro. Basta un respiro più profondo per farli scappar via; e ti lasciano lì. Senza averti dato modo di guardare il loro volto.
Non conoscere il colore degli occhi dei propri pensieri è qualcosa che non augurerei al mio peggior nemico, è come aggrapparsi alla carta velina mentre stai precipitando. L'afferri e pensi "sono salva", ma non finisci la parola e ti trovi nel vuoto a braccia larghe e precipiti, senza sapere se il pensiero fosse accattivante, intelligente o vuoto.
Si strappa la carta e nessuno ti presenta le tue voglie, i tuoi desideri, le tue paure o le tue ossessioni. Era qui, di fronte a me, se solo avessi alzato lo sguardo un attimo prima, adesso staremmo bevendo insieme un birra e disquisendo del più e del meno. Lui saprebbe che ho gli occhi neri e io saprei di che pasta è fatta la mia mente. Cerco un altro pensiero, ma a quest'ora dormono tutti, tranne quelli che avevo messo in soffitta perché non li uso più. La scala interna è impolverata e in quell'angolo ci sono le ragnatele. Poi, chi mi dice che sarebbero disposti a venire fuori; al loro posto, io mi volterei dall'altra parte. È come sentirli "Guarda, la stronza, adesso si ricorda di noi, non parlatele." e non avrebbero tutti i torti.
Uno scalino.
Posso dire che di spalle era ben piazzato, forse era un pensiero atletico.
Due scalini.
Le distrazioni si pagano.
Tre scalini.
Ricordo ancora gli occhi dolci di quel pensiero estivo.
Quattro scalini.
E la paura di quello che era strabico.
Cinque scalini.
Ma quello di poco fa era ben piazzato.
Sei scalini.
Gli occhi, però, raccontano tutto.
Sette scalini.
È fuggito prima.
Resti lì, con la mano sulla maniglia di quell'angolo e pensi alle ragnatele.
Non sono poi così sicura di voler guardare cosa ho nascosto lì dentro.
Torno giù, mentre Ivan Graziani canta, isolo ogni rumore e vado a sbattere tra due braccia forti, sollevo lo sguardo e ricordo.
Ha gli occhi color nocciola questo pensiero, veste di nero come la notte, ci guardiamo e cambia. Indossa il Blu; in mio onore. Ci fissiamo a lungo e adagio la testa sulla sua spalla. Ho solo voglia di dormire adesso, per pensare meglio, indossandoti come fossi un pigiama. Ma non chiudere gli occhi finché non dormo, veglia sui miei sogni, anche quelli che non si possono dire.
Soprattutto quelli

giovedì 4 luglio 2013

Notti d(')estate

Dico che il caldo non mi lascia dormire e mento.
Quando ero piccola e andavo in villeggiatura al mare, dopo una giornata di sole e la pelle bruciacchiata, dormivo fino al mattino, mi alzavo e facevo colazione, ascoltando mamma e papà che si lamentavano del caldo della notte. Poi mi dicevano che in spiaggia ci saremmo andato un po' più tardi, allora iniziavo a pensare alla bambina di Torino che mi stava aspettando, alla gara di tuffi con quei bambini spacconi di Trieste e al fatto che magari avrebbero iniziato senza di me. Con il broncio mi mettevo un po' in giardino, sull'altalena che i due vecchietti che affittavano la casa avevano sistemato appositamente per mia sorella e per me, volavo in alto e pensavo che se mi fossi persa l'inizio della giornata sarebbe stata una catastrofe. E sentivo il caldo.
All'ombra di due grossi alberi, con l'aria che mi soffiava sul viso e mentre cercavo di toccare il cielo, sentivo caldo.
Ecco di cosa parlavano mamma e papà. Mentre dormivo, forse, non lo avevo sentito perché aveva fatto piano, il caldo, poi, una volta entrato in camera di mamma e papà, forse, aveva scontrato un soprammobile e aveva fatto rumore, svegliandoli.

Sono cresciuta, e il caldo non mi lascia dormire.
Mento.
Sono i pensieri che non lasciano dormire. Bastarde responsabilità che mentre stai per chiudere gli occhi e staccare la spina della mente, ti suonano la tromba da stadio nelle orecchie e tu spalanchi occhi, cervello e tutto il necessario per restare sveglia e sentire caldo.

Fornitori da pagare.
C'è caldo.
Domani devo stirare una montagna di panni.
Cristo, che caldo che c'è.
Devo ricordare di scrivere quella email prima delle 9.30.
Stanotte non si respira.
È da un po' che non sento mamma e papà.
Perché non ho il condizionatore?
Chissà se mi ha mai sognato.
Basterebbe un ventilatore.
Evita di domandarmi alcune cose per non dover rispondere ad altre.
Adesso faccio una doccia ghiacciata.

E al mattino senti le mani gonfie, un cerchio alla testa e ti avvii verso il nuovo giorno trasportando le due borse capienti sotto i tuoi occhi.
Chi ti guarda chiede se sia tutto a posto, la risposta è automatica, "Non ho chiuso occhio per il caldo".
Come se questo bastasse a rendere tutto credibile, a sistemarlo in quella norma che è lo standard di tutti.
E ti senti un po' meno diverso, ché menti come molti di loro. Ho conosciuto gente che non ha chiuso occhio per colpa di una zanzara. Principianti. Il caldo è un'altra cosa. Maldestro, scontra la sveglia sul comodino e desta tutti per il gran fracasso.
Non ricordo quando ho iniziato a sentire il caldo, avrei preferito sentire Babbo Natale inciampare nei fili delle lucine e tirare giù tutto l'albero, ma Babbo Natale è un professionista abituato a fare piano, lui.

Oggi il sole non brucia, la mente dimentica di sentire il caldo, intanto penso che stanotte dormirò presto, visto che forse l'aria si è un po' rinfrescata.
Sarà certamente così, in attesa del primo temporale estivo che non mi lascerà dormire a causa dei tuoni. 




Specchio

Errori che profumano, invitanti esche che sanno di cacao amaro; alcuni di vaniglia.
Sbagliare senza saperlo, ma poi la parete diventa liscia e si precipita. Lasci le unghie per strada, tanto non ti servono sul pavimento. E mentre scivolo penso a quanto ancora sia lontana la terraferma, ché mentre mi arrampicavo non lo sapevo e sembrava una gita, con te accanto, non era errore, non ancora.
La parete liscia sembrava una passeggiata e la percorrevo su sorrisi di cartone e galanteria di plastica.
Con il naso all'insù ad annusare questo profumo buono, mentre i primi sassi entravano nelle scarpe, ma non ci badavo. Rallentavo la salita e proseguivo, annusando un po' di più. Maledetto raffreddore, non sentivo più tanto profumo, maledette vesciche ai piedi e cazzo di sassi che mi stavano piagando peggio dei santi e le loro stigmate.
Allora ho provato a tendere la mano, ma l'hai presa per camminare meglio, senza badare alla fatica che facevo io.
Maledetto raffreddore, ho dimenticato l'odore del cacao amaro e della vaniglia. Ho dimenticato di essere una Regina e di curare le mie unghie.
Guardo le mie piaghe mentre precipito e non c'è più parete, solo graffi e rumore fastidioso delle unghie fantasma, le buonanima. Sto cadendo nello sbaglio tutto mio e vedo te, lontano, lassù, che stai seduto a riposare. Mentre io, raffreddata e senza voce, capisco che l'errore è giusto quando uno aiuta l'altro a commetterlo, altrimenti è uno sbaglio del cazzo, e ti resta l'amo in gola.
Tonna.



mercoledì 3 luglio 2013

Ecco la notte

Ecco la notte.
Ti stavo aspettando, tra uno sbadiglio e l'altro, con gli occhi stanchi e le spalle curve.
Il letto che chiama forte, e io che alzo il volume della musica per non sentirlo.
Ecco la notte.
Ci hai messo tanto ad arrivare, credevo fosse una sera interminabile. Perenne. Poi ho riconosciuto il solito motivo, quello che fischietti quando ti avvicini.
Ecco la notte.
Hai ricordato di portare con te tutto il buio o ne hai lasciato un po' indietro?
Ecco la notte.
Quante cose avevo da dirti, le ho dimenticate tutte, ché di attesa si può dimenticare e di ricordi non dormire.
Ecco la notte.
Sento il tuo profumo e vorrei solo che avessi due braccia forti.
Ecco la notte.
Parla piano o mi svegli, si può non dormire di notte, ma non è la stessa cosa se resto sveglia solo io.
Svegliare le attese e aspettare le prime luci del giorno.
Ecco la notte.
Se non dormo penso, e tu sei in ritardo, non basta il buio per essere notte.
Non basta la notte per essere buio.
(Chiudo gli occhi e c'è luce.)




martedì 2 luglio 2013

Bevo caratteri

Come ogni vizio, anche quello della scrittura, richiede le sue attenzioni e, soprattutto, i suoi spazi.
Scolo, alla goccia, gotti da 140 caratteri, ma se vuoi smettere non riduci. Come le bionde che avvelenano; prendi quel fottutissimo pacchetto e lo strizzi tra le dita.
Da ora smetto.
E sei libero dal vizio.
Quando l'intenzione di smettere non è reale, o supportata dalla forza di volontà, ci si nasconde dietro un debole Riduco.
Vigliacco e senza nervo.
140 caratteri.
In pochi secondi stai meglio, bruci quel pensiero e gli dai un volto, poi vai a fare altro.
Ma la mente gioca brutti scherzi, quando pensi di aver esorcizzato un'idea, ecco che compare Reagan, con la testa che gira sul corpo e la faccia trasformata dal desiderio di un'altra dose da 140 caratteri.
Hai ridotto.
E non smetti, come fumare le sigarettine che andavano di moda anni fa, è piccola, ne fumo meno, e, invece di un pacchetto, ne bruciavi due.
Scrivere è un vizio, se non smetti, non puoi ridurre.
140 caratteri non bastano, scrivo il doppio. Ho deciso di comprare una stecca e avere le spalle coperte. Ho deciso che, ogni tanto, quando Reagan urlerà nella mia testa, dovrò ammansirla con uno spazio tutto suo. Senza limiti e senza impegno, senza sorrisi di circostanza e senza esorcismi che tentano di liberarti dall'inchiostro che ti scorre nelle vene.
Ecco perché non riduco. Ecco perché brucio il Blu senza spazi né conteggi.
Vedo il fuoco Blu, e anche il ghiaccio brucia, prima di sublimare.